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Export Manager: una storia di lavoro, talento e passione Intervista ad Antonio Fontana, Ex Export Area Manager per La Doria S.p.A.

Intervista a cura di Isabella Corsini, Myglange Ngnassi, Noemi Pezzotti – Programma “Retail Your Talent” 2016-2017

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Laureato in Economia e Commercio alla Federico II di Napoli, dopo un MBA presso la SAA School of Management, Antonio Fontana ha iniziato la sua carriera come Product Manager presso Olivetti. Sin da subito, quindi, ha lavorato nel commerciale, a stretto contatto con il cliente, fino ad arrivare a ricoprire importanti ruoli a livello internazionale in aziende Retail del settore Food, prima come Export Manager, dopo come Export Area Manager. Ha cambiato recentemente lavoro e attualmente si occupa di tutt’altro. Rispondendo a queste semplici domande, ci ha permesso di avere un focus molto diretto su questo ruolo e ci ha trasmesso immediatamente la passione che ha caratterizzato il suo lavoro in questi anni.

In base ai due ruoli che ha ricoperto nella sua carriera in ambito internazionale, ci spiega che cosa si intende esattamente per Export Manager e qual è la principale differenza con l’Export Area Manager?

Generalmente il primo è la persona che ha la responsabilità di tutto l’export all’interno dell’azienda, simile all’Export Director; il secondo, invece è una persona legata principalmente a una specifica area geografica del mondo, simile all’Area Manager o al Direttore Italia commerciale. Spesso si fa confusione, ma l’Export Manager è una figura già di riferimento alla Direzione Generale. A livello di compiti da svolgere sono diversi, in quanto l’Export Area Manager svolge una funzione meno operativa e più strategica, si occupa della gestione operativa del day by day su tutti i clienti, cerca nuove opportunità di lavoro e di investimenti, è l’interfaccia tra l’azienda e il cliente, cura il business quotidiano mettendo in atto quello che gli viene indicato dall’Export Manager, mentre quest’ultimo ha il compito di trasferire la strategia dell’azienda ai vari Area Manager in base al portafoglio di prodotti, da le indicazioni relative al business quotidiano. La distinzione è titolo, ma anche competenza.

Qual è la giornata tipo di un Export Manager?

Abbastanza complicata: se si lavora in un mercato Europeo, la giornata è abbastanza simile a quella di quasi tutti i lavoratori, se si ha la fortuna di lavorare su mercati Oceanici o Americani gli orari sono diversi, derivanti soprattutto dal fuso orario che impedisce la comunicazione e la risposta tempestiva ai problemi e alle domande. Quindi la differenza in quest’ambito la fa la zona di lavoro dell’azienda. Per quelle poche volte che si è in ufficio, in genere, una giornata tipo è così organizzata: una prima fase di raccolta delle informazioni e delle problematiche che sono arrivate nella notte, seguita dall’organizzazione del lavoro dell’ufficio con tutte le interfacce che si hanno in quel momento (es. Customer Service o Produzione) e infine si comincia ad elaborare le risposte da inviare.

Quali sono le difficoltà maggiori di questo lavoro e quali, invece, gli aspetti più interessanti?

Le difficoltà, spesso, sono gli orari, la mobilità, l’adeguamento ai diversi stili di vita dei paesi. D’altro canto, però, si ha la possibilità e la fortuna di confrontarsi con il mondo, rappresentare il proprio paese sotto i suoi aspetti migliori, conoscere culture completamente diverse, vivere e scoprire posti che magari non vedresti mai nella tua vita e stabilire un network di relazioni molto importanti per la tua futura carriera professionale.

Con quale metafora descriverebbe il suo lavoro? Che significa “Export Manager” per lei?

Un animale alato. Sei l’uomo con la valigia, un cittadino del mondo, un globalizzato a tutti gli effetti. Per me significa fare il lavoro della mia vita, nel quale ho sempre creduto. Sin dall’inizio, quando ho lavorato nel Marketing Internazionale, ho capito la mia passione per le relazioni, per il rapporto diretto con le persone e l’importanza del “sapersi vendere”.

Quando ha deciso di diventare un Export Manager?

Mi ci sono trovato un po’ per caso. Disponendo già di una base formativa consistente, un aiuto notevole è arrivato dall’esperienza nel Marketing Internazionale in Olivetti, dove supportavo il commerciale dell’azienda in fase di vendita e mi occupavo sia del Trade che del Product Marketing.

Questa esperienza mi ha permesso di acquisire una solida struttura per poter affrontare una trattativa, dato che conoscevo molto bene sia i competitors che il canale nel quale mi trovavo. Tutto ciò mi ha portato ad avere un grande vantaggio, che mi è stato di grande utilità durante il mio percorso professionale. Ho creduto nelle mie capacità e ho impostato la mia carriera proprio nel commerciale. Quindi, le esperienze lavorative passate mi hanno indirizzato sulla scelta del mio lavoro.

Quali sono le competenze e conoscenze, nonché le attitudini caratteriali che deve avere un Export Manager?

Sul mio CV c’è scritto come caratteristica  fondamentale “attitudine alle relazioni internazionali”. Secondo me oggi poter gestire le relazioni è il vantaggio più grande, poter avere un network di relazioni e mantenerlo nel tempo è quello che ti da accesso a tutta una serie di informazioni che altrimenti non potresti avere, confrontarsi anche con altre persone dello stesso settore è fondamentale. Molti dei miei clienti, che ho incontrato magari all’inizio della mia carriera, sono ancora miei amici; oggi, grazie ai Social, abbiamo questa opportunità e possiamo sfruttarla.

Oltre alle competenze relazionali, anche quelle commerciali sono necessarie; quest’ultime, però, intese come “saper vincere” e “saper perdere”.

Ovviamente oltre a queste competenze, la conoscenza del tuo settore specifico è essenziale. Devi avere quel vantaggio informativo in più che, anche se piccolo, ti permette di fare la differenza.

Quali sono le qualità che portano un Export Manager ad essere migliore rispetto ad un altro?

La modestia. Oggi tutti pensano di poter fare l’Export Manager e che sia sufficiente la competenza linguistica, ma non è così. Questa figura, oggi specialmente, rappresenta una cultura, una tradizione, i valori legati ad un paese e quelli dei prodotti che stai vendendo. Se pensiamo alla cultura americana, che conosco abbastanza bene, si ricerca proprio la romance, la storia dietro ad ogni prodotto.

Perciò, si deve saper trasferire questi valori, si deve essere passionale. Se non si sa raccontare tutto questo, non si può fare questo lavoro, oggi non si cerca semplicemente il prodotto industriale, ma ben altro. Li devi far innamorare di esso ancor prima di farglielo assaggiare!

Come viene vista un donna in questo lavoro?

È ancora un lavoro prettamente maschile, la percentuale di uomini, in confronto a quella femminile, è ancora preponderante. La problematica maggiore è il retaggio culturale Italiano; viviamo in un paese in cui la donna è ancora molto legata alla famiglia, e quindi chiedendole un sacrificio di questo tipo si andrebbe a sradicare un sistema culturale. La donna viene vista quasi come un “nemico” in un ufficio di Export Manager, perché, nel commerciale, ha sempre un passo in più rispetto ad un uomo, non c’è niente da fare.

Guardando anche alle mie colleghe, la donna ha una perseveranza, una metodicità, una costanza che l’uomo generalmente non ha. Nell’azienda dove lavoravo, il rapporto era molto equilibrato e devo dire che molte delle mie colleghe facevano la differenza rispetto agli altri, lo riconosceva lo stesso imprenditore.

Che cosa direbbe a un giovane che vorrebbe diventare un Export Manager?

Bisogna imparare e dimostrare di volerlo fare! Oggi tanti ragazzi pensano di sapere già tutto.

Per lo stile di vita, si tende ad avere tutto, subito e al minor costo possibile. Io, all’inizio della mia carriera ho lavorato molto e ho fatto molti sacrifici, ma ne sono grato perché è così che ho imparato.

Quello che mi sento di consigliare ai giovani d’oggi è sapersi mostrare, sapersi proporre ed essere propositivi sempre, c’è sempre qualcuno che ti può insegnare qualcosa.

Essere umili, senza svilirsi, ma proattivi e impegnarsi molto, specialmente all’inizio, perché poi è tutto bagaglio che ritorna. Questo è importante perché oggi pochi regalano, voi siete di fronte ad un mercato del lavoro che è molto complicato, con una competizione altissima che arriva da tutto il mondo.

Formazione ed esperienza sul campo: quanto incidono sulla forza di un buon Export Manager? Quale, in particolare, ha maggior rilievo?

Incidono molto entrambe. La formazione è continua, ma l’esperienza gioca un ruolo cruciale. Sono due componenti imprescindibili, due facce della stessa medaglia. Facendo formazione fai, inevitabilmente, anche esperienza.

E’ prevista anche una formazione interna all’azienda, di solito?

Solo le aziende illuminate fanno formazione interna. Io ho avuta la fortuna di lavorare in Seat Pagine Gialle che ha al suo interno una Corporate University, dove si formano tutti, dal primo degli impiegati al primo dei dirigenti. Per me la formazione è una cosa fondamentale, ma pochi investono in essa e pochi apprezzano il suo valore. A questo proposito riporto una frase di un dialogo tra il fondatore della Virgin Richard Branson e il suo CEO, molto appropriata in questo senso. Quest’ultimo chiedeva a Branson: “Che facciamo se tutta la gente che formiamo va via dall’azienda?” e Branson rispose:  e che succede se tutti quelli che non formiamo rimangono in azienda?

Durante il suo percorso professionale, quali sono state le esperienze che le sono servite maggiormente (anche negative)?

Posso dire che non ho mai avuto esperienze negative, fa tutto parte del mio bagaglio. Sono una persona ottimista di natura, ma sono state proprio le “bastonate” ad avermi reso più forte. Si deve prendere il meglio da qualsiasi cosa accada. Si deve avere una cultura dell’errore molto forte. Proprio quelle negative sono quelle che mi sono servite di più, perché si capisce come si può migliorare veramente.

Quanto il Master che ha conseguito presso la SAA School of Management le ha aperto la mente su questo ruolo e quanto le è servito a livello operativo?

Il Master è stato molto importante, ma soprattutto perché mi ha dato visibilità in aziende prestigiose. Prima ero solo uno dei tanti laureati. Il Master è stato fondamentale per le relazioni, non avrei fatto mai quello che ho fatto senza di esso. Mi ha permesso di avere un approccio più diretto, più elevato, più rispettato nel contatto con gli altri.

Secondo lei, qual è il percorso formativo e professionale ideale che un giovane dovrebbe seguire per diventare un buon Export Manager?

Partire sin da subito in questo ruolo è sbagliato. Secondo me, la scelta migliore per chi ambisce a diventare un Export Manager, è partire dal basso, in particolare dal Customer Service, dai “problemi”, ma con un approccio propositivo, analitico, seguendo la logica di capire il problema e sviscerarlo. In questo modo si inizia ad essere artefici di un processo, si impara ad avere un quadro del cliente a 360 gradi, che sarà essenziale per il percorso futuro. Anche perché poi sarà una delle interfacce con cui si avranno più rapporti. Partire dall’alto è la cosa più sbagliata, se si perde contatto con il mercato è un disastro.

Quanto le decisioni di un Export Manager incidono sulle decisioni strategiche dell’azienda?

Molto, se parliamo di Export Manager. Questa figura ha il dovere di riportare alla direzione gli andamenti del mercato, deve saper fiutare quello che sta succedendo. Le decisioni strategiche dell’azienda dipendono da ciò che un buon Export Manager riporta.  Importa, ancora una volta, essere propositivi per essere i primi, altrimenti ci arriverai, ma sempre dopo gli altri. Se invece parliamo di un Export Area Manager, le sue decisioni incidono meno sull’azienda, pur rimanendo una figura essenziale perché è l’occhio del suo capo sul mercato.

Abbiamo visto che entrambe le sue esperienze di Export Manager sono state in due aziende del settore Food che si occupano di distribuzione e produzione. Ci può raccontare un po’ il suo iter all’interno di Agritalia e La Doria?

Agritalia è stata l’azienda che mi ha aperto le porte al mondo del Food, mi dato l’opportunità di imparare come gestire, tra le altre, un Private Label all’estero. Secondo me è un’eccellenza, è molto strutturata proprio per dare quello che manca alle realtà produttive Italiane, ossia l’orientamento al servizio. Infatti, oggi, le aziende produttive italiane hanno una carenza in questo senso, non sono strutturate abbastanza per dare un buon servizio al cliente, si pensa più a produrre.

Io ho cercato proprio di dare questo taglio “diverso” a La Doria, ma è stato molto difficile. È un’azienda che da dei grandi risultati all’estero, ma cambiare una cultura aziendale ben radicata è molto complicato.

Con quali team si trovava più spesso a lavorare e con quali funzioni si rapportava di più?

L’Export Manager lavora con tutti. Avendo un contatto diretto con il cliente, è una delle figure che lo conosce meglio e sa come gestirlo. Quindi, qualunque funzione, si rivolge a lui. Per questo, ribadisco, è importante avere buone doti relazionali, non è necessario conoscere tutto, ma sapersi relazionare con gli altri e saper assumersi la responsabilità nei confronti dei colleghi e dei clienti.

E se, invece, è l’Export Manager ad avere un problema a chi si rivolge?

Generalmente, si tende a risolverli autonomamente. Questo fa parte della capacità negoziale. Se poi è un problema che richiede una responsabilità oggettiva diversa, ci si rivolge spesso al Customer Service, che è il “collo di bottiglia dell’azienda”, da dove partono poi le relazioni con le altre funzioni. Infatti, l’Export Manager, solitamente è una figura che ha un grado un po’ più alto rispetto a tutto il resto; gerarchicamente è sempre un Quadro proprio perché, senza dubbio, ha delle responsabilità maggiori.

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Noemi Pezzotti

Noemi Pezzotti

Partecipante alla II edizione di Retail Your Talent

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