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Viaggio nella “Capitale dell’Aperitivo”: Intervista a Ferdinando Di Fino, HR Manager Italian Market di Gruppo Campari

Intervista a cura di Michele Gandolfi, Gabriele Martinotti, Patrizia Rossi, Raffaele Tini – Master in Risorse Umane e Organizzazione 2015-2016

Sono pochi i grandi marchi che possono vantare una storia imprenditoriale e dei valori incentrati sull’eccellenza come il Gruppo Campari. Nato dall’intuizione geniale di Gaspare Campari nel 1860, l’impresa cresce di pari passo con l’Unità d’Italia e diventa ben presto un nome affermato già all’inizio del Novecento, a livello nazionale ed internazionale. Il cuore pulsante rimane quella che era l’immediata campagna milanese dell’Ottocento, e che oggi è quasi una ramificazione urbana della città meneghina, Sesto San Giovanni. Da qui viene guidato il sesto gruppo industriale per spirits di marca, con oltre sedici stabilimenti, attivo in quasi duecento mercati nel mondo. Il complesso industriale storico, ormai dismesso, è diventato la cittadella del gruppo e può vantare un binomio di verde ed arte (la Galleria Campari, un dono evergetico dedicato alla città che li ospita, raccoglie numerose testimonianze artistiche del Primo Novecento e del Dopoguerra, tra cui spiccano le collaborazioni con il poliedrico artista futurista Fortunato Depero).

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Il Gruppo Campari è come il suo famoso “Spritz”: giovane, dinamico, divertente e sempre unico. Mission e valori si rispecchiano nei suoi dipendenti e le Risorse Umane sono attente a proseguire nel solco tracciato della tradizione aziendale.

Ferdinando Di Fino, HR Manager Italian Market di Gruppo Campari, si rispecchia in questi valori. Il suo percorso formativo è contraddistinto chiaramente dalla passione per il mondo HR. Dopo la laurea in economia aziendale, vengono le specializzazioni nel settore HR tra cui spicca il Master ISTUD: “Il primo momento, quello che ha contraddistinto tutto, è stato durante gli anni universitari, quando è scattata in me la voglia e la decisione di fare questo mestiere. Se vogliamo, tutto è iniziato leggendo dei libri sulle risorse umane e all’improvviso si è aperto un mondo: da lì ho deciso che nella mia vita avrei voluto lavorare in ambito HR”.

La sua carriera lavorativa si snoda attraverso tutta la Penisola, passando attraverso diverse realtà aziendali quali Barilla, Fastweb e Johnson & Johnson. Queste esperienze gli hanno dato la possibilità di avere a che fare con ambienti molto diversi tra di loro: “dopo 6-7 anni di “mamma Barilla” ho avuto voglia di andare a vedere cosa c’era lì fuori e sono andato a lavorare in una multinazionale del mondo pharma, Johnson&Johnson. Lì ho capito la differenza tra un’azienda a matrice imprenditoriale, dove se vuoi cambiare le cose puoi farlo, e una multinazionale, dove sei più un ingranaggio del sistema. Così ho capito che mi piacciono le realtà imprenditoriali, tant’è che il passo successivo è stato quello di entrare in un’azienda che era una sorta di eterna start-up, ovvero Fastweb. Una realtà dove ho di nuovo avuto la conferma del fatto che ci sono aziende e environment diversi: le TLC erano un settore interessante, ma mai quanto il settore del food&beverage”.

Nel 2014 Di Fino approda in Campari, “perché Campari rappresenta un’azienda che ha un DNA incredibilmente imprenditoriale ed è in un mondo, quello degli spirits, contraddistinto dalla sfera emozionale e dalle relazioni sociali. Noi dobbiamo riuscire a convincere le persone che dietro a un prodotto c’è un sogno, ci sono dei valori e per fare questo ci vuole la passione”. In un tale settore è oltremodo importante, per raggiungere i propri obiettivi di business, che le caratteristiche distintive del brand e della cultura aziendale siano condivise da tutti coloro che stanno all’interno dell’azienda: “Campari cerca l’imprenditorialità nelle sue persone e un elemento fondamentale qui è proprio il fattore di socialità, di convivialità, di empatia, che fa sì che riescano a integrarsi e ad integrare, indipendentemente dalla funzione che ricoprono”.

La funzione HR risulta di cruciale importanza per il mantenimento e la trasmissione di questi valori, e un primo strumento di cui essa dispone per perseguire tale finalità è il recruitment: “senza passione in questo settore non fai niente. Le professionalità e le competenze rimangono centrali, ma per noi le competenze tecniche sono sempre un dato di partenza. Ci vuole poco per dedurle da una lettura del CV, ma comprendere se quella persona è veramente una persona che ha passione, è questo che fa la vera differenza.

Personalmente penso che sia più importante la passione, perché le competenze si possono apprendere. La passione è imprescindibile. Anche perché molto spesso, banalmente, quello che facciamo va anche ben oltre l’orario di lavoro.

Molte persone che lavorano nel marketing, per esempio, quando finiscono di lavorare vanno a prendere l‘aperitivo, vanno a vedere l’evento, perché sanno che guardando quell’evento capiscono cosa sta succedendo nel mercato, quali sono i trend. Noi abbiamo bisogno della sensibilità di chi conosce i locali, i luoghi di incontro dove gustare il miglior aperitivo dopo una giornata di lavoro, con gli amici. I nostri prodotti non nascono in laboratorio e poi funzionano, se prima non li ha provati il barman. Allora il tema è questo: o noi portiamo a bordo delle persone che hanno la capacità di andare a cercare le relazioni, che se vengono invase nel proprio territorio non si sentono in difficoltà, che non sono protette da uno scudo che è la competenza professionale; oppure questo meccanismo, quest’ingranaggio rallenta, si raffredda e tutti andiamo a cercare le certezze delle proprie competenze nei numeri”.

Un secondo strumento che la funzione Risorse Umane utilizza per mantenere vivi all’interno di Campari i valori della passione e della socialità è quello del Talent Management, il cui obiettivo è rendere il capitale umano non solo una risorsa, ma il fattore chiave del successo dell’organizzazione.

Il concetto di talento è uno di quelli più produttivi e allo stesso tempo più deleteri che sono stati capaci di creare gli specialisti dell’HR. Questo tema del talento rischia di essere un tranello: avere un talento non vuol dire avere la vita facile. Ultimamente ho sentito un’intervista di questo famoso ballerino, Roberto Bolle. Chi lo guarda dice: che talento! Ma se riflettiamo sulla vita di estremo sacrificio che fa, penso che nessuno di noi sarebbe disposto ad accettare quelle rinunce. Quella è la passione: il talento va coltivato”.

Il processo di Talent Review in Campari è composto da tre dimensioni, che devono essere misurabili e valutabili: “la prima è una dimensione di Competenze, sia tecniche che comportamentali. Poi c’è un tema di Engagement, cioè la passione di una persona per il suo lavoro, quanto è attaccata all’azienda, quanto va oltre il proprio ruolo, e facendo le cose pensa al bene comune anziché al proprio orticello, in un’ottica di business. La passione e l’imprenditorialità, infatti, sono cardini centrali per Campari. E in ultimo c’è l’Aspiration. Crescere non è solo un gioco o una questione di soldi e carriera, ma soprattutto un impegno: vuol dire avere più complessità, più responsabilità, dedicare ancora più tempo al lavoro in azienda”.

La Talent Review è un processo distinto ed ulteriore rispetto alla Performance Review: “in quest’ultima si indirizza l’attenzione del management nel valutare e discutere le performance del singolo nell’anno trascorso; nella Talent Review ci si concentra invece nel delicato processo di esaminare le persone per capire chi può rappresentare una figura di potenziale per il futuro dell’organizzazione. Si prendono in esame le caratteristiche per cui Campari giudica una persona di talento o, come qui si preferisce dire, di potenziale. Quali sono le dimensioni che ci fanno dire che una persona è un talento? Il nostro compito come HR è far rendere conto ai capi che chiunque ha i suoi talenti, chiunque ha i suoi punti di forza. Ogni anno prendiamo tutte le persone e le analizziamo con i manager, in modo molto decontestualizzato rispetto l’anno fiscale, considerando il singolo rispetto alle tre dimensioni precedentemente illustrate; così risultano persone che sono di alto potenziale, di potenziale, di basso potenziale, o per tornare al tema dei talenti, sono high talent, talent o no talent”.

Il Talent Management è una componente strategica per ogni organizzazione e quasi imprescindibile per ogni realtà HR. In Campari, in particolare, l’obiettivo primario è diffondere ed integrare la passione: è chiaro che non vengono premiati tutti, ma come HR stiamo molto attenti che il singolo individuo non prenda il sopravvento. Ovviamente la meritocrazia è individuale, ma questo deve avvenire con un livello di balance molto più cauto: se noi creiamo le prime donne abbiamo finito. Se quello spirito, quella passione, comincia a diventare proprietà di pochi eletti, è finita. Non abbiamo bisogno del Maradona. Avere la prima donna a noi non serve a niente. Dobbiamo creare dei brand; e i brand non li crei certo in un anno. Noi siamo dei maratoneti, non siamo dei centometristi; quindi dobbiamo stare attenti perché correre la maratona significa dover portare il gruppo da qualche parte”.

L’HR Manager, dunque, deve possedere un bagaglio complesso e multiforme di capacità per riuscire a supportare efficacemente l’azienda nel perseguimento dei propri obiettivi di business: il nostro mestiere può essere molto amministrativo o molto orientato al cambiamento culturale, molto orientato al business o orientato alle persone. Teoricamente un bravo HR Manager è tutte e quattro queste cose. Se unisci business, people, obiettivi di lungo termine e amministrazione, sei un vero agente di cambiamento culturale. Questa è la massima espressione del nostro mestiere. Il problema è che questi quattro elementi sono in profonda contraddizione. La caratteristica fondamentale dell’HR è quindi quella di essere una persona che sa convivere con le contraddizioni. Deve essere il primo che sa motivarsi e motivare le persone di fronte a delle situazioni che sono conflittuali. Non è una persona che ha bisogno della linearità e della certezza, perché accetta una cosa che è nella sua natura contraddittoria, che è piena di ambiguità, ma che soprattutto è ambivalente. Questa è la skill numero uno di un buon HR Manager.

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Michele Gandolfi

Michele Gandolfi

Partecipante Master in Risorse Umane e Organizzazione 2015-2016

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