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Il brand come gioiello – Il Marketing secondo Elena Colombo

Articolo a cura di Matteo Marconi, studente del Master ISTUD in Marketing Management 2019/20.

In data 27 marzo 2020, Fondazione ISTUD ha avuto il piacere di avere ospite in video conferenza Elena Colombo, oggi Marketing Director di Montblanc, società facente parte del gruppo Richemont.

Elena Colombo, dopo una Bachelor presso lo IULM e una specialistica in Economics e Political Science presso l’Università di Pavia, si affaccia sul mondo del lavoro dove, nel corso degli anni, collaborerà con colossi del fast-moving e della cosmetica come Unilever e Coty, per poi giungere in Richemont, terzo polo del lusso insieme a LMVH e Kering.

All’interno della holding svizzera, proprietaria, tra gli altri, di marchi come Cartier, Jaeger-LeCoultre, Yoox Net-A-Porter Group, lavora per l’azienda che coincide con il nome del marchio: Montblanc.

Montblanc nasce dall’idea di Alfred Nehemias, banchiere di Amburgo, ed August Eberstein, ingegnere berlinese, che colgono i segnali del cambiamento e decidono di produrre le penne simplicissimus. Dopo un breve periodo di tempo, Wilhelm Dziambor, Christian Lauser e in seguito anche Claus Johannes Voss rilevano l’attività e gettano così le fondamenta del futuro successo internazionale dell’azienda.

Dalla sua fondazione nel 1906 ad oggi, Montblanc procede abilmente e con attenzione a una diversificazione del proprio portafoglio prodotti. Ora, insieme ai famosi strumenti da scrittura, è possibile acquistare articoli di pelletteria, articoli da viaggio, orologi, fino ad arrivare a prodotti di ultima generazione come cuffie smart e smartwatches.

La testimonianza si è svolta attraverso un preciso approccio didattico-professionale, andando a definire alcuni punti chiave che contraddistinguono la funzione marketing all’interno delle aziende multinazionali di riferimento.

Partendo proprio da quella che è stata definita una prima keyword, complessità, Elena Colombo ha sottolineato come le diverse realtà per le quali ha lavorato, utilizzino un sistema matriciale per gestire il proprio business.

Come le funzioni interagiscono e sono interconnesse con le varie realtà di business, ha un forte impatto su come le stesse possano essere efficaci sul mercato e nella relativa industria.

I diversi tipi di organizzazione possono pertanto essere mappati sull’ordine di complessità, conseguenti interazioni, nonché su quello che è il framework che l’azienda si vuole dare per gestire il business e la macchina organizzativa. In modo semplificato, la classica struttura a matrice delle organizzazioni lavora attraverso divisioni. Divisioni che possono essere, come ad esempio nel caso di Coty, la divisione lusso, la divisione mass e la divisione professionale. All’interno delle stesse vengono poi organizzati business e gestiti marchi nell’ambito di quelle che sono le funzioni: marketing, supply chain, R&D etc.

Matriciale significa dunque una vera e propria integrazione di queste funzioni con quelli che possono essere i diversi progetti, che possono avere goal e finalità di volta in volta variabili. Possono interessare varie funzioni ma anche varie regioni:

“Durante il mio percorso in Coty, ero a capo della funzione marketing nella divisione Luxury del cluster Italia e Grecia. In quel ruolo mi sono occupata della gestione di un portfolio cosmetico composto da 17 brand molto diversi tra loro. Alcuni di questi marchi avevano uno scope globale, altri regionale. La struttura delle aziende è fortemente legata al tipo di business che si gestisce, tra queste ritroviamo le caratteristiche del settore, lo scope geografico, etc. Questo ha delle implicazioni importanti su quello che è il decision making process che le aziende adottano”.

A conferma di ciò, è stata riprodotta un’intervista di Steve Jobs dove, attraverso le parole del fondatore di Apple, possiamo capire come la diversa struttura dell’azienda possa influenzare fortemente quello che è il mindset, la cultura e i valori dell’azienda stessa.

“One of the things about Apple, is that Apple is an extremely collaborative company, zero committees, organized like a startup, one person is in charge for a specific department. We are the biggest startup on the planet. We all meet for 3 hours once a week and we talk about what we are doing in business. There’s tremendous teamwork at the top of the company and this reflects throughout the whole company. Depending to trust the other folks to do the job.”

Quindi, di fatto, anche una realtà estremamente importante come Apple, può adottare il mindset di una normale startup. Una startup che Steve Jobs definisce come un’organizzazione composta da cellule, dove ci sono persone responsabili per il proprio lavoro, che si occupano in modo autonomo della loro parte di business ma, allo stesso tempo, hanno bisogno di una forte interconnessione con le altre funzioni. La visione dell’azienda può essere, come ci suggerisce Elena Colombo, estremamente flat, non gerarchica ma molto matriciale. La matrice è pertanto quell’organizzazione che permette di lavorare in modo efficace ed ottimale proprio andando a sfruttare quelle sono le capabilities, i know-how, le possibilità potenziali che l’azienda può offrire.

“Esiste un’organizzazione perfetta? La domanda più corretta da porsi è quale sia l’organizzazione che risulti maggiormente adeguata, pertanto efficace, nel gestire un determinato business”.

L’aspetto matriciale rappresenta il fil rouge di tutte quelle che sono le realtà in cui ha operato, e sta operando, la Dottoressa Colombo. Sono aziende che adattano le proprie caratteristiche principali ai mercati in cui operano. Aziende molto attente a quello che è il momento e l’evoluzione, altra keyword enunciata dalla Dott.ssa.

A questo proposito, un’importante caratteristica per queste realtà è proprio la capacità di adattarsi, per accogliere aspetti in grado di avere un forte impatto sul mercato.

Il contenuto del ruolo del marketing è molto cambiato nel corso degli anni. Se ora penso a come svolgevo la mia funzione 5 o 10 anni fa, è una modalità molto diversa da come avviene oggi. Il consumatore si evolve costantemente: la tecnologia ha radicalmente cambiato le modalità di dialogo, i touchpont si sono moltiplicati, e la liquidità della comunicazione porta con sé abitudini e attitudini diverse dal passato. Il modo di rapportarsi al consumatore si è evoluto ed è cambiato di conseguenza”.

Altro aspetto fondamentale, che Elena Colombo sottolinea, rappresenta la capacità di gestire il business e di gestire il brand.

“Una domanda da porsi sempre è: arriva prima il business o il brand? Gestiamo il business o gestiamo il brand? Domanda molto accattivante ma al contempo molto complessa. Alla base c’è sempre un’idea, un’idea che pone le basi per sviluppare entrambi il brand e il business. Ho sempre imparato a pensare alle due cose unite come una sorta di due lati della stessa medaglia. Vanno necessariamente, analizzati, gestiti e sviluppati insieme”.

Secondo Elena Colombo, il brand deve essere immaginato come una sorta di gioiello. Un gioiello che va preservato ma evoluto nel tempo, in termini di aspetto valoriale, di aspetto di immagine, di personalità e di significato per il consumatore.

Il modello di business può essere considerato parte di questo ‘gioiello’ e l’aspetto valoriale si tramuta in tutto ciò che finanziariamente rappresenta il fatturato e i livelli di margine che generano i profitti necessari ad alimentarne una crescita costante. Anche se, non rileva soltanto una parte economico finanziaria, spesso le decisioni mirano ad accrescere la parte economica e al contempo nutrire quello che è l’aspetto valoriale.

“Ho avuto la fortuna di avere insegnamenti importanti nel mio percorso iniziato in Unilever, che mi hanno dato la possibilità di imparare a gestire il brand con tutte le leve marketing necessarie a sviluppare in modo sostenibile la equity, e accrescerne il valore per il consumatore e per l’azienda”.

Altri due aspetti fortemente rilevanti riguardano l’identità dell’azienda, nello specifico Mission e Vision che, insieme alla cultura aziendale, rappresentano la percezione interna e esterna del brand.

Mission: che cosa voglio fare, che cosa voglio diventare, che cosa voglio significare per il mio target e per il mercato.

Vision: il percorso che devo fare per arrivare a quello che ho definito come il mio goal principale.

Mission e vision possono mutare nel tempo, dove la visione è molto legata alla strategia.

Sotto questo aspetto, un esercizio che la Dott.ssa Colombo consiglia, e compie nei propri workshop, riguarda il concetto di mission e vision applicato a noi stessi. Che cosa noi vogliamo essere, qual è la nostra visione e quali sono le azioni che intendiamo compiere per realizzarla.

La mission deve per questo sempre essere semplice e chiara. Più la mission è chiara più sarà compelling.

“Fin da subito ho imparato ad apprezzare quanto sia importante avere una missione chiara”.

Di pari passo con questi ultimi due aspetti, viaggia quella che può essere definita come cultura aziendale, ossia quell’insieme di valori che definiscono il modus operandi dell’azienda nel fare business, nell’interagire con la propria popolazione, attraverso stili di management precisi e definiti.

A testimonianza di quanto la cultura aziendale sia importante, la Dott.ssa ci ha riportato un aneddoto circa la sua prima esperienza in Unilever, rimarcando come la catena dei valori che ogni azienda si porta dietro, abbia anche un impatto sulle realtà in cui le aziende stesse sono inserite; questo vale per tutte le organizzazioni, non solo multinazionali.

Ai tempi in cui Elena Colombo era in Unilever, già si parlava infatti di quello che era un impatto zero sulle acque circostanti.

Unilever, a questo proposito, nell’ambito di quello che era l’impianto produttivo di Gaggiano, alle porte di Milano, si preoccupò quindi di attivare un impianto che potesse automaticamente rigenerare e depurare risorse primarie come l’acqua, un materiale quantitativamente intenso per la catena produttiva.

Quest’aspetto ci ha portato a compiere un’ulteriore riflessione sulla crisi da COVID-19, sulla quale oggi tutti noi ci stiamo misurando.

Diverse aziende hanno riconvertito la propria produzione per fare fronte a questa emergenza che sta mettendo in ginocchio l’economia e, soprattutto, la società.

A tal fine, ad esempio, Richemont ha riconvertito i propri centri di pelletterie di Varese e di Firenze per la produzione di mascherine igieniche per l’emergenza sanitaria.

Evian ha riconvertito la propria linea produttiva e sta fornendo bottigliette per contenere gel disinfettante per l’utilizzo quotidiano per questo periodo.

Questo, a dimostrazione di quanto le aziende siano di fatto interconnesse con l’ambiente circostante e con l’impatto della vita di tutti i giorni, non solo con comunità economiche.

A questo proposito, ho colto la palla al balzo e ho chiesto ad Elena Colombo cosa Montblanc avesse previsto, o stesse implementando, nello specifico per fronteggiare questa situazione di emergenza, vista l’importanza che l’aspetto esperienziale ricopre per una società che opera nel mercato del luxury.

“L’osservazione di come si sta evolvendo la situazione parte anche da chi l’ha vissuta prima di noi. Tutte le aziende ora stanno guardando a come la Cina sta reagendo. Questo paese è stato investito da questo virus prima di Natale, credo che inizialmente si pensasse che potesse essere una situazione più circoscritta – stando a ciò che leggiamo e vediamo nei notiziari. In questo momento in Cina, dopo tre mesi estremamente difficili ed estremamente cari, sia dal punto di vista delle vite umane sia dal punto di vista dell’impatto economico, sembra che ci siano dei segnali di ripresa. È difficile predire quanto questa situazione si potrebbe protrarre. In questa fase le aziende si stanno equipaggiando da un lato nell’assicurare, la salute dei propri dipendenti e di contribuire ove possibile, alla comunità; dall’altro si iniziano a definire le possibili strategie nel momento in cui la ripresa arriverà. In questo contesto, osservare come la Cina sta reagendo è per tutto il settore un aspetto molto importante”.

Questo per quanto riguarda il presente ma, Elena Colombo ci suggerisce che un aspetto costante del proprio lavoro riguarda gestire il business con due lenti diverse in termini di orizzonti temporali:

  1. Una lente più strategica, che va a valutare, discutere e definire le varie azioni secondo goal e su un orizzonte temporale più lungo e dove si stabiliscono obiettivi e strategie in virtù dei vari KPIs di lungo termine.
  2. una lente di breve raggio, nell’Annual Operating Planning: quell’orizzonte temporale dell’anno in corso o dell’anno fiscale, che può coincidere o meno con l’anno solare. Ad esempio Coty ha, come molte aziende americane, un anno fiscale che termina in giugno. Richemont ha un anno fiscale che termina a marzo mentre Unilever a dicembre.

Entrambe le aree hanno obiettivi, strategie, KPIs, learning curves etc ma con raggi molto diversi tra loro.

“Per quanto riguarda l’Annual Operating Planning delle aziende per le quali ho lavorato, tutte hanno un momento dell’anno in cui il management delle varie countries/regioni, presenta un piano finanziario e di attività atto a deliverare gli obiettivi finanziari, di market share, e che riguardano l’evoluzione del marchio e del business. Quello che viene definito business plan ha in sé tutta una serie di KPIs legati all’aspetto di sviluppo economico e valoriale. Il business plan incide sulle leve, sui programmi per raggiungere determinati goal e, una volta approvato dalla parte Corporate, diventa un piano di implementazione della strategia”.

Passando invece ad esaminare le specifiche funzioni del marketing, all’interno di quelli che sono i ruoli aziendali, c’è tutta un’altra serie di attività estremamente sensibili e con le quali il marketing ha una continua dialettica, una continua inter-relazione.

Attraverso un’organizzazione matriciale, queste funzioni vengono di fatto replicate a livello globale e locale dove, quel che cambia, è la parte di definizione delle strategie e quelli che sono i monitoraggi sui diversi livelli.

“Ci sono aziende fortemente riconosciute per essere marketing driven, molte delle FMCG. Il ruolo in queste aziende è il fattore trainante di quelle che sono le strategie di medio e lungo termine. Il processo di New Product Development all’interno di queste realtà passa attraverso l’insight del consumatore che viene raccolto e sviluppato dall’azienda nelle funzioni di ambito marketing (Consumer Insight Marketing, Marketing Intelligence) e viene elaborato all’interno di quella che diventa una proposta di prodotto/servizio per rispondere ai c.d. unmet needs. In altri ambiti, il new product development può derivare invece da invenzioni tecnologiche o da scoperte scientifiche. Un esempio può essere rappresentato dal settore farmaceutico, dove di fatto chi guida il processo di NPD è il reparto R&D. In tal caso il marketing ha un ruolo più legato alla commercializzazione del prodotto e alla sua comunicazione/promozione”.

Un’altra importante funzione del marketing, è inoltre quella che lo collega agli aspetti di sostenibilità del business e del marchio; quella forte connessione con tutto quello che è l’aspetto economico che gira intorno al business e al brand.

Un aspetto che la Dott.ssa Colombo definisce come pane quotidiano è il c.d. Profit & Loss.

“Fare marketing non vuol dire solo fare comunicazione, sviluppare solo campagne pubblicitarie o delineare meccaniche promozionali, tenere relazioni con la stampa etc. significa anche e soprattutto delineare strategie di sviluppo, nel far si che l’azienda, il marchio, sia sostenibile nel lungo periodo garantendo la necessaria massa critica e la profittabilità. Per questo è molto importante la relazione con la funzione finanziaria. Un portfolio può avere brand con strategie diverse che si rispecchiamo nel proprio P&L. Ad esempio, il basket di deodoranti e fragranze del quale mi sono occupata comprendeva diversi brand: Dove, Axe, Rexona, Denim etc. Tutta una serie di brand con delle propositions diverse sia dal punto di vista del consumatore ma anche, e soprattutto, dei portfoli sviluppati in termini formulistici, di confezione (spray, stick, roll on), con tipologie promozionali e strategie diverse che si possono leggere nel conto economico di ogni singola brand. Gestire uno specifico portfolio in modo profittevole, sostenibile, è uno degli aspetti chiave della sostenibilità di un marchio business, e il P&L può essere considerato lo specchio della gestione”.

In seguito, continua la Dottoressa, c’è anche tutto ciò che ha a che fare con lo sviluppare partnership con le funzioni commerciali, per far sì che il brand sia desiderabile e, a questo proposito, porre in essere azioni sia di pull che di push.

Non di minore importanza, risulta inoltre il tema dei possibili claim da adottare per le varie campagne.

In ambito FMCG, ad esempio, un brand che fa merendine per bambini, deve porre molta attenzione a cosa e come lo comunica. Non solo sull’ingredientistica ma anche a quelle che possono essere una serie di messaggi che vanno portati al consumatore con grandissima cautela.

“Tutto ciò che ha a che fare con il messaggio al consumatore, va trattato con grandissima attenzione e nel più totale rispetto della corretta comunicazione. Questa, deve essere corretta e chiara”

Infine, un aspetto ulteriore riguarda la relazione con l’R&D. In questo, Elena Colombo ci ha spiegato minuziosamente tutta la filiera, dall’idea su un prodotto alla sua realizzazione.

“Come viene gestito un processo di sviluppo prodotto in un’azienda FMCG? In modo molto semplificato possiamo dire che parte un brief, all’interno del quale si definiscono dei KPIs, e degli obiettivi. Ci si basa su degli insights che si vogliono esprimere all’interno di un nuovo prodotto e l’R&D lavora su questo dal punto di vista formulistico, di packaging, di produzione, etc. Comincia un processo di valutazione, di fattibilità, per capire se i concetti, le proposizioni, le proposte di un nuovo prodotto sono attraenti, rilevanti, interessanti per il consumatore. Oltre a ciò, si deve verificare se a livello finanziario sussista un conto economico sostenibile. Torniamo al punto relativo al garantire una crescita profittevole e sostenibile. Si individuano parametri qualitativi e quantitativi, si determinano una strategia di marketing che tocca tutte le leve del mix, inclusi prezzo, promozionalità, comunicazione, etc. Si fanno stime di capacità produttiva, in relazione alla domanda stimata. La capacità di prevedere correttamente gli andamenti del business è molto importante. I risultati non sempre si verificano esattamente come si sono pensati e stimati. Un esempio di stima errata della domanda lo possiamo trovare nel recente lancio dei biscotti Nutella. La domanda è esplosa grazie al successo del prodotto. Fino a quando la capacità produttiva non è riuscita ad allinearsi alla domanda (molto più alta di quella evidentemente stimata dal business plan) il consumatore ha vissuto una scarsità di offerta, visibile nelle situazioni di out of stock riscontrati nella catena distributiva”.

Questo per sottolineare come sia importante che la funzione del marketing determini e collabori, insieme alle vendite, insieme alla linea produttiva, all’R&D e alla parte finanziaria, in modo estremamente integrato, per assicurare un ottimo bilanciamento di quelli che sono i KPIs per raggiungere i goal aziendali.

Per portare a termine questo compito, la Dott.ssa Colombo consiglia una strategia chiara, che derivi da una precisa visione su quelli che sono gli obiettivi di breve e lungo termine, tornando quindi ai già menzionati concetti di mission e vision. È necessario infatti avere molto chiaro quello che si vuole raggiungere, riuscendo a capire anche cosa è fattibile o meno e quali possono essere i fattori di rischio e le opportunità. A supporto, è possibile utilizzare strumenti come ad esempio la Swot Analysis, sia in un’ottica di prima che di seconda lente, quindi con orizzonti temporali diversi.

Ciò che rileva, è che strategy plans e goals siano assolutamente ben coordinati, ben centrati e soprattutto devono parlare tra loro in modo coerente per raggiungere un fine comune.

Unitamente a diversi cenni su come e cosa un Business Plan debba contenere, la Dott.ssa Colombo è passata poi ad analizzare più nello specifico la seconda lente, con la quale si cimenta frequentemente nel day by day.

Ci sono aspetti molto importanti nel BP che interessano tre key questions, tre macro-aree, in particolar modo per ciò che compete alla funzione del marketing.

Un primo punto, premia il concetto di Market Penetration. Quindi, la parte di consumatori che si riescono a conquistare nel mercato di riferimento.

Un secondo punto tocca la fidelizzazione del target. Ogni marca rivolge una speciale attenzione alla fidelizzazione dei propri clienti.
Infine, tutti i marchi, in tutti i settori, dedicano un occhio di riguardo alla fidelizzazione di quello che è un proprio parco di customers ma, contemporaneamente, ci deve sempre essere l’attitudine a conquistarne altri.

Sussiste dunque una forte interconnessione tra quella che è la market penetration da un lato e quello che è l’increase del value, della frequenza di acquisto del proprio marchio, dall’altro. Queste vanno insieme a determinare la sustainability nel lungo termine di un marchio. Secondo quanto delineato dalla Dott.ssa Colombo, possiamo quindi provare a definire alcuni tratti caratteristici, che ci aiutino in qualche modo ad indirizzare i concetti chiave di che cosa una funzione marketing svolge all’interno di un’azienda.

“Il marketing è una delle funzioni fondamentali volte a generare valore di medio e lungo termine nonché a gestire le leve del brand nel breve, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile del marchio e del business”.

Il marketing, come abbiamo visto, può essere infatti diverso anche a seconda che si lavori in un team globale, in un team regionale e in un team locale. Pertanto, è necessario definire bene, se si vuole percorrere tale funzione, che tipo di marketing si fa all’interno dell’azienda, perché il marketing può essere molto strategico, cosa che normalmente viene fatta a livello globale. A livello regionale, il marketing è strategico ma anche di coordinamento di quelli che sono gli aspetti del BP, di consolidamento di strategie locali e di insishts che si possono utilizzare a livello globale ma che provengono dal basso, da mercati attivi day by day. Oppure, a livello locale, marketing più operativo attraverso una linea di implementazione, dei piani.

Fare marketing, significa inoltre e soprattutto gestire direttamente ciò che riguarda il product mix, dove possiamo andare a scomodare le 4P di Kotler.

Tutto ciò che si riferisce al prodotto fisico: com’è fatto un prodotto, come si delinea, il packaging, il tipo di materiale impiegato, il tipo di proposition etc.

Discorso analogo vale per il prezzo. Qual è il prezzo migliore? Come ci si vuole posizionare all’interno di un mercato? Mercato che avrà determinati marchi premium, low price e, tra questa fisarmonica, qual è il giusto prezzo? Analizzare e definire tutte quelle che sono le
pricing strategy all’interno della funzione, è determinante per il brand management e business management.

Quando invece parliamo di place parliamo di tutto quello che è l’aspetto distributivo.

L’aspetto distributivo è estremamente importante e impatta su tutto quello che è il modello di business, sul posizionamento del marchio e l’immagine del marchio stesso.

Il quarto ed ultimo aspetto interessa la produzione e chiaramente tutto quello che sono le attività di promozionalità dove, in particolare, si definiscono gli aspetti di pull, aspetti legati alla comunicazione, ma anche aspetti legati semplicemente al punto vendita.
Infine, Elena Colombo ci ha descritto il processo attraverso il quale un prodotto passa dall’idea al mercato.

Tutto parte da un’idea generation (Ideas). In questa primissima fase si raccolgono tutta una serie di informazioni, che possono essere insights, interessi del target etc.

Dalla generazione delle idee si passa alla discussione di queste ovvero alla valutazione sulla loro fattibilità (Feasibility). Un’analisi che coinvolge l’economicità, la sostenibilità e la capacità dell’azienda stessa, al suo interno o con suppliers esterni, quella che dovrebbe essere la catena a supporto della produzione.

Una volta completata anche questa parte, si raggiunge un punto in cui si decide di proseguire, “Questo progetto ha le gambe per funzionare”.

Se questo è il caso, interverranno delle discussioni che ne determinano, attraverso una serie di KPIs, la fattibilità per poi passare alla fase di capability.

Per valutare quanto il progetto sia potenziale, si considera l’effettiva sostenibilità finanziaria di critical mass, di quota di mercato, di conto economico etc. Se è un progetto affascinante ma non ha, per svariati motivi, una situazione di profittabilità sufficientemente sostenibile, probabilmente si accantonerà. Se è un progetto che, per altri motivi, può non essere profittevole il primo anno ma può diventarlo in un anno 2 o in un anno 3 e, in qualche caso, è all’interno di una categoria molto strategica, l’azienda potrebbe anche decidere di accettare una profittabilità negativa al lancio. Successivamente, lo stesso prodotto potrà contribuire ad altri aspetti del business ritenuti strategici e quindi ottenere un outcome favorevole per il lancio.

Conclusa anche questa fase, si passa al c.d. launch gate e, una volta che si sono fatti tutta una serie di assessment in questo senso, si passa a quella che è la preparazione del lancio.

La Launch preparation tocca tutta quella serie di KPIs, delle 4 P definite in precedenza, incide molto sul BP e su come si vuole lanciare un prodotto o un servizio.

In seguito, è necessario decidere come si vuole monitorare la performance del nostro prodotto (post launch evaluation) e come si vogliono delineare i parametri di successo del progetto in sé.

Infine, nel momento in cui il progetto viene lanciato, si stabilisce come poter fare fasi di roll-out. Molto spesso le aziende utilizzano le c.d fasi di test. In particolare, quando si deve lanciare un prodotto che ha un assetto finanziario intensivo a livello di capital expenditure, viene utilizzato il test, ad esempio in una regione, in una country, per vedere se effettivamente il progetto funziona.

Questo serve ad acquisire informazioni e fare injection di questi learning all’interno di una eventuale roll out e, nel caso in cui si decida, per qualsiasi motivo, sull’insuccesso, l’azienda in questo modo si mette al riparo da ingenti fuoriuscite finanziarie che implicherebbero sforzi di un certo tipo.

Per concludere la testimonianza, ho voluto rivolgere una domanda più alla persona e alla professionista, attraverso un commento sulla propria carriera, dagli inizi nel trade marketing ad oggi e magari un consiglio agli studenti di Fondazione ISTUD.

“Ci sono molte sfaccettature della funzione marketing: strategico, operativo, marketing intelligence etc, e l’entry point può essere diverso a seconda delle esperienze. Credo sia molto importante, una volta iniziato, capire bene quali sono i contorni della funzione. Contorni che possono variare da azienda ad azienda. Se avessi iniziato in un’altra reatà e non in Unilever, probabilmente avrei sperimentato cose diverse, con magari anche vissuti diversi. Siamo anche noi frutto dell’imprinting che abbiamo quando muoviamo i primi passi nella professione.
Avere chiaro che cosa si vuole fare è importante. Per quanto mi riguarda sono partita con questo intento, approfondire il marketing di prodotto in tutte le sue sfaccettature. Questo era il mio cosiddetto heartbit. Ero innamorata del marketing a tal punto che ho rinunciato ad un’offerta di lavoro a tempo indeterminato da parte di una grande azienda di servizi per intraprendere uno stage in una azienda nel reparto marketing di prodotto. Diamo il meglio di noi stessi seguendo il nostro istinto e le cose che amiamo fare: un insegnamento che mi ha trasmesso il mio insegnante di filosofia ai tempi del liceo. Ho la grande fortuna di fare un lavoro che mi fa divertire e questo è ciò che auguro sempre a tutte le persone che mi chiedono consigli sul loro futuro. Sviluppare la capacità di lavorare in team e di adattarsi al cambiamento molto velocemente sono caratteristiche che reputo molto importanti. Avere grande curiosità e sperimentare soluzioni che possano aprire opportunità nuove. Mi piace molto pensare in grande e iniziare a sperimentare nel piccolo, lo trovo sempre ricco di insegnamenti sui passi successivi che si possono intraprendere”.

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