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Intervista ad Antonio Perfido – Co-Founder & Marketing Director, The Digital Box

A cura di Vincenzo Garofalo, Federica Carbone, Davide AndrettaStefano MellaiLorenzo Mazzotti – Master in Marketing Management 2016-2017

Scarica l’intervista ad Antonio Perfido – Co-Founder & Marketing Director, The Digital Box in formato pdf da Slideshare

Quando si pensa a start-up ed aziende che hanno a che fare col digital, la nostra mente immediatamente si trasferisce negli Stati Uniti.
Immaginiamo quel tipico paesaggio esotico dove, tra una collina californiana e l’altra, prendono vita i più importanti progetti digitali che nel giro di pochi anni sono in grado di cambiare le abitudini di business e della nostra stessa vita: la Silicon Valley. D’altro canto spesso ci si riferisce alla regione Puglia come “la California d’Italia”, dove in effetti, tra una collina e l’altra, nella “Murgia Valley”, prendono vita progetti digital come The Digital Box.
The Digital Box è una società che si occupa di sviluppare piattaforme per il mobile marketing. Fondata nel 2013
a Gioia del Colle, in Puglia, nel giro di pochi anni vantano una forte presenza internazionale e risultati per 1,9 milioni di euro in abbonamenti nel 2015, 327 mila euro di Margine Operativo Lordo nel 2014.
Attualmente contano oltre 7000 clienti attivi. Si occupano di fornire piattaforme digitali per le imprese con servizi di Mobile Landing Pages, Mobile Visual Storytelling, Mobile- Friendly Email Marketing e Mobile Loyalty Reputation.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare il dott. Antonio Perfido, Co-Founder e Marketing Director.

Dott. Perfido, ci parli del suo percorso: come è arrivato, da commercialista, a fondare una start-up nell’ambito del digital?
Presso l’Università degli Studi di Bari, mi sono laureato in Economia e Commercio e nel frattempo ho preso l’abilitazione come dottore commercialista.
Ben presto mi sono reso conto che non era il mio settore e che mi sarei dovuto occupare di altro nella vita. Mi sono appassionato e ho cominciato a studiare follemente da solo l’e-commerce, perché non esisteva ancora alcun interlocutore con cui affrontare l’argomento. Ho cercato di applicare i temi dell’e-commerce in ambito sportivo con il merchandising. Era il 1997 e questi argomenti in Italia non esistevano ancora; quando si ha interesse e passione per un argomento, non c’è università che tenga, non c’è qualcuno che non ti può dire cosa può essere fatto o non può esser fatto, è soltanto buon senso, applicazione, curiosità, passione.
Qualche anno dopo mi sono trovato ad occuparmi di e-commerce nell’ambito sportivo e, con una società che avevo contribuito a costituire a Bari, mi sono occupato di merchandising online per Juventus, Milan, Fiorentina, Sampdoria, Bari, Torino e Gennaro Gattuso. In seguito ho continuato nel web con progetti locali in ambito nazionale fino a quando, quattro anni fa, ho pensato che il mobile fosse, nell’ambito del digital, una strada da percorrere e, assieme ad un altro manipolo di “folli”, abbiamo messo su questa startup a Gioia del Colle e penso che qualcosina di interessante nel settore la stiamo facendo.

 
Di cosa si occupa principalmente in The Digital Box?
In The Digital Box sono Marketing Director. Come sempre, nelle piccole realtà capita di essere direttore di te stesso. Qui, assieme alle sei persone che compongono la struttura marketing, ci occupiamo di tutto. Sostengo che sia il grande vantaggio. È un lavoro legato alla sperimentazione diretta, non puoi essere responsabile di nulla se non ti sporchi le mani e non fai nulla materialmente. Io mi occupo della parte di marketing di prodotto, digital e corporate, in quanto la nostra azienda ha una presenza internazionale. Ho contribuito a definire i prodotti, a guardare cosa c’è sul mercato.
Ad esempio oggi ci stiamo occupando dello sviluppo dei ChatBot, delle intelligenze artificiali. Sono dei software che imparano dalle domande che gli vengono rivolte e diventeranno il futuro del web. La mia idea è che fra qualche anno il sito web non esisterà più. Con un ChatBot si possono rivolgere delle domande sull’azienda, sul brand, sul prodotto ad un assistente virtuale, che non esiste, ma che ha un livello di dinamicità più alto di un sito web. In The Digital Box nel marketing l’unico aspetto su cui intervengo poco è la distribuzione di cui se ne occupa il CEO.

 
Cosa sono per lei il lavoro, il talento e la passione?
Per me sono tutte la stessa cosa. Oggi ho un problema che in parte ho risolto: non mi accorgo quando lavoro e quando sto facendo qualcosa che mi piace. E’ molto bello perché non senti la fatica del lavoro, il cervello elabora informazioni continuamente.
Di questi tre aspetti, quello su cui ero più scoperto era il talento. L’ho dovuto costruire con tanta fatica quotidiana. Ci vuole tanta passione e ho sempre creduto che i risultati potessero ottenersi anche stando a Gioia del Colle e non necessariamente nei centri nevralgici del mondo Digital.

 

Pensa che questi fattori abbiano influito sullo sviluppo della sua carriera? Ha rinunciato a qualcosa per seguire la sua passione?
Non saprei dire se ho fatto carriera perché non sono responsabile marketing di una multinazionale o di una grande azienda. Inizialmente avevo sempre il timore reverenziale che il responsabile marketing di una multinazionale fosse un marziano con otto cervelli, una persona che abbia molte più capacità rispetto a quante potresti averne tu. In realtà, ho scoperto che non c’è una grande differenza.
Quando una persona ha tanta passione e va a cimentarsi con una persona che ha un posto di grande responsabilità, quello che cambia è la scala delle esperienze. Lo scotto che io posso aver pagato stando qui è quella di aver rinunciato ad una esperienza globale più ampia, perché ho sempre perseguito il fatto di fare progetti che siano
locali ma destinati ad una diffusione globale. Il mio obiettivo non era e non è diventare il responsabile marketing di una multinazionale ma riformare il mio settore e lasciare un’impronta nel mercato.

 

Se dovesse assumere qualcuno cercherebbe più il talento, la passione o entrambe?
Sicuramente punterei sul talento. Però se la persona di talento è una persona che non sa lavorare in gruppo, non è una persona che sa stare con gli altri, che ha un talento smisurato ma non riesce ad essere parte di un gruppo di lavoro, mi interesserebbe poco. Molte volte un team coeso, con molte personalità diverse che puntano tutte allo stesso obiettivo, ritengo sia preferibile a una sola persona di talento. Deve essere in grado di mettere il suo talento a disposizione della sua squadra. Se questa attitudine non c’è preferisco avere un gregario che metta il 100% nel suo lavoro e non un talento che si impegna al 10%.

 

Saprebbe dirci qual è stato il momento più soddisfacente del suo lavoro?
Sono un grande appassionato di calcio e accanito tifoso della Juventus. Per me è stata una grande soddisfazione poter collaborare con la Juventus su
un progetto che coinvolgesse Nike e Alessandro Del Piero per un’iniziativa benefica.

 

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Vincenzo Garofalo

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