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Talento e sfida, l’importanza di conoscere se stessi: intervista a Leo Wencel, Presidente e AD di Nestlé Italiana

PRIMA PARTE

A cura di Giorgio Terranova, Nicoletta Nicosia – Master in Marketing Management 2016-2017 e Grazia Cannone – Master in Risorse Umane e Organizzazione 2016-2017


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Leo Wencel ai Master ISTUD26 Gennaio 2017. ISTUD ha il piacere e l’onore di ospitare Leo Wencel, Presidente ed Amministratore Delegato di Nestlé Italiana. Tra i presenti in aula, i 72 studenti dei Master in Risorse Umane e Marketing.

Un manager con una carriera internazionale che ha tanto da raccontare e da insegnarci. Un prezioso momento di confronto con le imprese vere, quelle che vanno bene, che sanno innovare e che operano a livello mondiale”, così Marella Caramazza, Direttore Generale di ISTUD, introduce l’ospite.

Leo Wencel: polacco, classe ’58. Dopo alcuni anni di esperienza maturata in un’università finlandese e in una compagnia edile, nel 1999 approda in Nestlé come Division Manager per la Polonia. Nel 2006 viene messo a capo del mercato dei paesi baltici per Nestlé Ucraina. Nel 2009 acquisisce l’attuale carica di Presidente ed Amministratore Delegato Nestlè Italiana, in un momento in cui l’azienda aspira ad un riposizionamento del marchio nell’ottica dell’eco-sostenibilità. Il suo contributo si rivela essenziale in questa direzione e continua ad esserlo tutt’ora. Nestlè S.A., multinazionale con sede in Svizzera, conta ad oggi più di 180 sottomarchi, quasi tutti nel settore food&beverage; è presente in più di 86 Paesi nel mondo, con un fatturato che supera gli 80 miliardi l’anno e un utile netto pari a circa 9 miliardi.

Forte della sua ricca e multiforme esperienza, Leo Wencel è stato in grado di stupire noi giovani studenti con i suoi preziosi consigli di vita. Un piacevole incontro che l’ha visto spaziare dall’ambito professionale a quello meramente personale, distinguendosi per la sua profonda umiltà e umanità.

In apertura Leo Wencel fa un excursus del suo ricco percorso di vita prima di approdare in Nestlé:

Sono nato in una Europa diversa da quella che oggi conosciamo. Il mio Paese, la Polonia, in quegli anni faceva ancora i conti con le influenze derivanti dal blocco sovietico, con tutte le conseguenze del caso.

Per darvi un’idea: mio padre era un ingegnere e il suo stipendio mensile allora era equivalente a circa diciassette dollari. Per questo, come tutti gli altri giovani della mia età, custodivo il sogno e il desiderio di ambire a quel qualcosa in più che non avevo avuto. Così, durante gli anni del liceo ho lasciato che la successiva scelta universitaria fosse guidata da quella mia innata propensione per le cose concrete, ma soprattutto dal sogno di un panorama politico diverso da quello che allora offriva la Polonia.

Da qui la laurea in Architettura, seguita poi da un’inaspettata opportunità lavorativa in Finlandia. Giunto lì, con solo pochi soldi in tasca, ho cominciato a lavorare dapprima in una compagnia edile per poi, successivamente, inserirmi nel mondo accademico come assistente, affiancando il professore di un corso di economia per le costruzioni.

Ciò che mi sorprende ancora oggi è come ottenni quel posto. Decisiva la conoscenza del russo e di alcuni rudimenti di economia, due materie che mai avrei immaginato mi sarebbero poi state utili nella vita.

Dalla Finlandia sono stato poi trasferito in Ungheria, a Budapest, dove continuavo a tenere alcuni corsi di economia.

Dopodiché, mi sono avvicinato al settore food abbandonando, in buona sostanza, l’impegno accademico.

La prima esperienza è stata in Russia, dove, per due anni, ho ricoperto l’incarico di retail manager per conto di una grande azienda americana.

Infine, una serie di casualità mi hanno portato ad approdare in Nestlé, occupandomi inizialmente del turn-around che in quegli anni vedeva coinvolta l’azienda: prima in Polonia, poi in Ucraina, ancora una volta in Polonia e infine in Italia, circa otto anni fa”.

Le parole di Wencel rendono chiaro come in ambienti professionali, e ancor prima nella vita di tutti i giorni, spesso ci si sottovaluti e si investa poco tempo nella ricerca dei propri talenti:

Ci sono vari strumenti per valutare le proprie attitudini: il test di Brix Meyer, i test sulla personalità o behavioral test. Ad ogni modo, quello che realmente conta è capire e ascoltare i feedback che ci arrivano dagli altri, dato che quello che pensiamo di sapere di noi stessi potrebbe essere diverso dalla visione che ne può avere un nostro prossimo. Dopo avere dunque investito sulla comprensione del ‘know yourself’, diventa poi ancora più difficile accettare ciò che siamo. Il primo passo è imparare a gestire i nostri limiti. Per esempio, stando al test di Brix Meyer io sono un estroverso, un oratore, non un buon ascoltatore; ed in effetti ho un problema con l’ascolto (ride, ndr). Tuttavia il punto è che ne ho coscienza e ho imparato a gestirlo. Così, durante i meeting di lavoro, parlo pochissimo e mi sforzo di ascoltare. È vero che il carattere non si può cambiare, ma quando si conosce il problema, si può intervenire su di esso, si può migliorare la propria attitudine.

Tutti siamo unici perché tutti abbiamo un talento. La vera sfida è scoprire quale è il nostro: talvolta le scelte di vita ci allontanano da questo focus, al punto tale che poi è troppo tardi per scovarlo e svilupparlo. Del resto l’unica risorsa di cui non disponiamo in abbondanza è il tempo; per questo dobbiamo usarlo in modo saggio. ‘Conosci te stesso’ anche e soprattutto nell’ambito lavorativo; conoscere se stessi aiuta a conoscere l’altro e a lavorare meglio all’interno di un team, specie quando vi sono decisioni da prendere. Infine ciò che più conta nel business è sapere cosa vogliamo, perché lo vogliamo e perché possiamo farlo. Fatto ciò, si delinea poi un percorso e si cerca di seguirlo, mettendo in campo una forte strategia”.

Rischiare equivale a vivere: il credo di Wencel

Forse è un’amara verità, ma niente è sicuro. Il futuro e tutti i suoi possibili benefici sono proporzionali al livello di rischio: più oso, più ricaverò profitto; meno rischio, meno otterrò benefici. Ma non sono cose certe e assicurate. Fondamentalmente dobbiamo accettare la vita e il rischio che ne scaturisce, senza domandarci quanto e se sia prudente. Quando ad esempio sono andato in Finlandia non conoscevo minimamente i rischi. Se li avessi saputi e analizzati, non sarei mai partito: dieci dollari in tasca, nessuna copertura medica, nessun lavoro. Pertanto, la verità è che qualche volta arriviamo a fare cose molto belle solo perché non abbiamo calcolato i rischi. L’errore è all’ordine del giorno, è normale, non esiste una persona senza macchia. Ma quelli che sembrano a prima vista degli abbagli, in realtà non sono sempre e solo fallimenti. Bisogna imparare la lezione, qualche volta pagare il prezzo di uno sbaglio e poi arriveranno anche i successi e le buone decisioni.

Passione sì, ma non si possono semplicemente rifiutare le offerte della vita. È un processo complicato, che nel mio caso ho attuato per lo più intuitivamente, seguendo il mio istinto. Ricordo che quando mi ero trasferito da poco in Italia, ho partecipato ad una manifestazione sulla tutela delle risorse e sullo sviluppo economico. In quell’occasione ho dovuto affrontare una dura prova davanti ad un pubblico di quattrocento persone e alle telecamere: tenere un discorso interamente in italiano! Sebbene non conoscessi ancora bene la lingua, ho dovuto comunque accettare il ‘sacrificio’. Non appena salito sul palcoscenico, il buio totale. Poi invece, all’improvviso, ho capito come gestire la situazione: ‘Dovete sapere che il mio italiano non esiste, o meglio, esiste ma non è buono. Eppure io sono sicuro, come un altro polacco ha detto, che quando sbaglierò voi mi corrigerete’. Standing ovation. Tra l’altro, neanche a dirsi, quel giorno grazie a quella battuta e al discorso che ne è poi seguito, ho contribuito all’aumento delle quotazioni dell’azienda. Non era pianificato, ma è successo. Ho accettato di correre il rischio e ne ho ricevuto in cambio un grosso beneficio. D’altronde, come ha detto qualcun altro prima di me, ‘le persone che non prendono rischi non bevono champagne’. 

Ho rischiato tanto nella mia vita ed eccomi qui.  Come dice un grande cantautore americano: ‘I did it in my way’. Oggi sono ancora l’unico a ricoprire una simile posizione in tutta l’Europa dell’Est. Un grande traguardo personale soprattutto rispetto alla mia naturale tendenza a stare sempre in prima linea e alla forte ambizione ad eccellere”.

Tra i passaggi più interessanti della sua storia, sicuramente l’avere affrontato il sacrificio e averci saputo convivere:

Bisogna essere pronti a sperimentarlo, ricordando che quando c’è la passione, non si vive una vera sofferenza. Quando l’azienda mi ha assegnato all’Ucraina è stato un grosso sacrificio per la mia famiglia; mia moglie ha pianto tutta la notte dicendomi: ‘Magari l’azienda ti offrisse l’Italia!’. E quando nel 2009 è arrivato il trasferimento in Italia, il suo primo commento è stato: ‘Leo, con te non si può sognare!’ (ride, ndr). Tuttavia continuava a piangere, tutte le notti. È stato un immenso sacrificio, ma d’altra parte la vita è così intensa che ti spinge a trovare il lato bello delle cose. In tutto quello che facciamo c’è un doppio risvolto della medaglia: uno positivo e uno negativo. Il punto di svolta è rappresentato dal nostro atteggiamento rispetto al singolo problema: quando ci focalizziamo sulle cose positive abbiamo più energia; quando ci focalizziamo sulle cose negative, tutto diventa pericoloso e insostenibile. In tutte le circostanze dobbiamo quindi distinguere tra le due facce della medaglia e, quando possibile, dobbiamo cercare di fare bene, pensare al meglio. Solo così possiamo creare un circolo virtuoso di energia positiva”.

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Giorgio Terranova

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