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Un’istantanea del gruppo Nestlé tra presente e futuro: intervista a Leo Wencel, Presidente e AD di Nestlé Italiana

SECONDA PARTE

A cura di Giorgio Terranova, Nicoletta Nicosia – Master in Marketing Management 2016-2017 e Grazia Cannone – Master in Risorse Umane e Organizzazione 2016-2017


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Nestlé è sicuramente una realtà bellissima quanto complessa. Gestire un simile apparato comporta alcuni compromessi nel rapporto tra centro e periferia: spesso solo la holding ha l’idea d’insieme, il che può complicare il processo decisionale. È una vera azienda internazionale, i cui valori legati al cibo rispecchiano quelli di qualunque famiglia, compresa la mia.  In Italia è in vita da oltre cento anni, configurandosi come una delle aziende storiche più importanti, la più grande nel campo alimentare. Il gruppo, con casa madre in Svizzera, proprio quest’anno festeggia i suoi centocinquanta anni dalla nascita: una grande festività e un onore per tutta la nostra famiglia Nestlé. Operativamente siamo organizzati in tre grandi zone (America, EMENA, IAO) e in business verticali con divisioni per categoria (per esempio Water o Nutrition), che di fatto ci permettono una copertura di quasi tutto il mondo. Non saprei dire dove Nestlé non sia ancora arrivata! Ciò è ovviamente un vantaggio ma al contempo anche un grande problema, se pensiamo al sistema dei mercati locali e alla loro relazione col sistema mondiale. Questa è brevemente la fotografia della situazione attuale dell’azienda. Per il futuro si guarda sempre più a prodotti di benessere, legati al tema della salute e della buona nutrizione”. 

Qualche dato sulla nuova sede italiana di Assago e sulla ridefinizione degli spazi aziendali in funzione di una maggiore produttività:

Nuova sede: cosa è cambiato? Innanzitutto le relazioni: i business verticali hanno infatti contribuito a creare relazioni di maggior indipendenza e flessibilità. Sulla scia della flessibilità e dell’innovazione, nel nuovo stabilimento italiano sono state apportate alcune strategie di ridefinizione degli spazi: in primis si è decisa l’eliminazione delle scrivanie, in senso classico. Da un’indagine sui metodi di lavoro d’ufficio, sul tempo effettivamente passato dietro ad una scrivania, è risultato che, mediamente, solo il 35% del tempo di una settimana lavorativa viene trascorso lavorando dalla propria postazione, con un valore massimo del 42%-43% per il lunedì mattina. Le conclusioni fatte sono state due: o nessuno lavora oppure si lavora in un altro modo, non con la scrivania. Ecco che per il successo e l’evoluzione di un’organizzazione diventa importante capire come è cambiato il modo di approcciarsi al lavoro. In questo caso abbiamo appurato che si lavora con le squadre, con incontri liberi e senza scrivanie. Così abbiamo creato uno spazio libero, che prevede tutt’al più l’utilizzo di un armadietto “locker” per gli effetti personali; poi ci sono tante sale disponibili per incontri tra due, tre, cinque persone; e ancora, angoli caffè per momenti di svago ma anche di libera conversazione. Altra innovazione ha riguardato l’intervento sulla mensa, ripensata come un vero e proprio ristorante, dotato di connessione wi-fi, in cui sostare e dove poter organizzare anche lunghi meeting di lavoro. A proposito di riorganizzazione logistica, abbiamo eliminato tutto il materiale d’archivio ritenuto privo di utilità, guadagnando più di 450 m2. L’uso del cartaceo è stato ridotto  del 70% grazie all’avvio di un’importante operazione di digitalizzazione e upgrade e abbiamo inoltre ridotto l’uso di stampanti e di cestini, diminuendo lo spreco della carta.

Ci ha molto colpito un dato: in soli sei mesi dall’apertura, abbiamo contato più di ottocento visitatori in azienda. Ottocento motivi di arricchimento per noi, dal momento che i loro pareri sono stati il nostro input principale per le modifiche attuate e per raggiungere i risultati sperati: abbiamo risparmiato due milioni di euro perché abbiamo eliminato il 30% dei metri quadri destinati agli elementi di comunicazione verticale dell’edificio (scale, ascensori, corridoi), non ritenute soluzioni utili alla creazione di una squadra efficiente e collaborativa”.

Gestire un grande gruppo come Nestlè impone oggi un focus sui brand premiati dal mercato:

In questo momento storico credo che un approccio orientato ad una specifica categoria commerciale possa fare la differenza. In quest’ottica dobbiamo cercare di sfruttare efficacemente la nostra scala territoriale; trovare un buon mix in una struttura di processi complessa, come è quella di tipo verticale. Del resto quello che vendiamo sono prodotti, non processi. Bisogna quindi cercare di essere più efficienti, ridurre i costi dei processi interni (HR, Finance, etc.) in modo da non fare ricadere sul consumatore quei costi di cui egli non abbia e non possa avere una contezza tangibile.

Siamo la seconda azienda del cibo in Italia. Siamo importanti non solo per l’Italia ma anche per il gruppo.  Rispetto agli altri paesi abbiamo un portfolio abbastanza cospicuo: tanti brand, forse troppi, dato che ogni brand ha un suo costo importante. È proprio per questo che dobbiamo focalizzarci su alcuni specifici, quelli più forti. Una concentrazione dell’offerta che ci vedrà impegnati nei prossimi anni, con l’obiettivo di rinforzare quei brand che si sono distinti sul mercato.

Del resto, in un mercato in costante evoluzione, diventa fondamentale saper anticipare i bisogni del domani. Occorre sempre guardare al futuro: avere chiaro dove ti vedi come azienda in 3-4 anni. Domandarti cosa devi sviluppare per conquistare quel mercato; un mercato che ancora non esiste ma che puoi già intravedere.  Come dico sempre: quello che conta è il viaggio, non la destinazione”.

Sul percorso intrapreso da Nestlè con Perugina, Wencel sottolinea quanto questo legame sia oggi più che mai importante e quanto l’eccellenza di una produzione tutta italiana stia giocando la sua parte:

È un progetto che porto avanti con grande passione. Penso sia il miglior cioccolato sul mercato mondiale. Le ricerche di mercato confermano che il 54% del cioccolato consumato dagli Italiani è Perugina. È un’eccellenza tutta italiana. Ne siamo orgogliosi. In particolare, mi sono battuto per portare Baci Perugina in un mercato più ampio: Cina, Brasile, Australia, USA. Una crescita importante, soprattutto nelle grandi città. L’obiettivo è quello di vendere il concetto stesso di eccellenza italiana.

Va sottolineato come Baci Perugina sia un prodotto semplice, fatto da soli otto ingredienti. Rispetto ai competitor ha la metà degli oli. Un prodotto genuino con una ricetta vincente che cerchiamo di preservare nel tempo. 

Per quanto riguarda invece le nuove scommesse abbiamo lanciato Tablò, un prodotto su cui crediamo molto e che sta già registrando una crescita quest’anno del 40%. Il packaging richiama i colori di Castelluccio di Norcia. L’intento è infatti quello di rilanciare le zone del Centro Italia, devastate dal terremoto. Non a caso abbiamo creato un’app allo scopo di raccogliere quanti più fondi possibili”.

Territorialità: un termine quasi caduto in disuso, in un’epoca più che mai proiettata alle dinamiche dell’offshoring. Così non è per Perugina:

Penso non sia possibile concepire un prodotto senza collegarlo ad un territorio, ad una storia. Un prodotto è inevitabilmente parte del luogo in cui nasce. Non potrei mai vendere un cioccolato semplicemente per chilo. Voglio vendere la storia di quel prodotto, la passione di chi l’ha lavorato, gli ingredienti locali. In questo modo si viene a creare una sorta di obbligo reciproco tra il marchio ed il territorio, col fine di sostenersi a vicenda.  È proprio muovendo da considerazioni di questo tipo che la scuola del cioccolato di Perugia è oggi un’eccellenza italiana. Il museo del cioccolato è il secondo per visite, subito dopo quello di Ferrari. Questo la dice lunga su quanto abbiamo cercato di preservare la cultura di quei luoghi. È lo stesso lavoro che stiamo portando avanti con S.Pellegrino: non è acqua per litro, bensì è acqua con storia, e storia significa ‘territorio’, significa valore. Un ingrediente importante che bisogna sempre tutelare”.

Un’alimentazione sana richiede una produzione ispirata ad alcuni principi. NUTRITION, HEALTH & WELLNESS sono oggi i driver che guidano il gruppo svizzero:

L’obiettivo che ci proponiamo è quello di migliorare la qualità della vita e contribuire nel creare un futuro sano. Sono questi i driver che oggi guidano l’azienda, ed è questa la direzione che abbiamo intrapreso. A riprova di ciò, la scelta del nuovo CEO di Nestlè è ricaduta, per la prima volta in 150 anni di storia del gruppo, su un manager esterno. Mark Schneider, un tedesco con passaporto americano che ha lavorato in B2B, proprio nell’health service.

L’obiettivo è quello di sviluppare e distribuire prodotti che abbiano una forte valenza nutritiva e migliorativa delle condizioni di salute umane. In Italia abbiamo creato ‘Nestlè Health Science’ con l’obiettivo precipuo di sviluppare metodi scientifici per migliorare la salute attraverso la nutrizione. Un’attenta nutrizione comporta certamente dei costi. Stiamo sviluppando dei prodotti al confine tra nutrizione e medicina, investendo in maniera consistente in R&D, coinvolgendo diverse università ed organizzazioni pubbliche nello studio di soluzioni concrete volte al miglioramento di tutti i prodotti. Questo non solo con riguardo alle materie utilizzate ma anche all’informazione. Per questo motivo abbiamo apposto su tutti i nostri prodotti un ‘Nutritional compass’, con l’obiettivo di fornire un’adeguata e puntuale conoscenza di ciò che il consumatore va ad acquistare. Bisogna creare una cultura attorno al concetto di qualità del prodotto, limitando l’imperante ricerca del sottocosto. Le materie prime, se buone, se salutari, hanno inevitabilmente un costo. Se non ingeneriamo nei consumatori questa cultura non è possibile costruire un futuro sano, health-oriented. Una responsabilità fondamentale, in questo senso, ricade sui media. Proprio perché hanno la capacità di influenzare le abitudini alimentari della maggioranza delle persone, è necessario privilegiare un’informazione obiettiva piuttosto che condannare aprioristicamente qualsiasi tipo di cibo. Una tendenza quest’ultima che oggi purtroppo sta sfuggendo alla ragione, creando effetti distorsivi e irrazionali sul mercato, spesso in danno dei prodotti italiani stessi”.

Wencel ci parla della sua ricetta vincente nell’ottica di una carriera di successo:

Passione, studio e voglia di mettersi in gioco: questa è la ricetta per il buon cibo. Ma l’università da sola non è una garanzia. Pensare che sia tutto scontato, dovuto, garantito è sbagliato. Con la laurea hai una chance in più rispetto ad altri che non hanno questa carta da giocare, una chance per vincere, ma nessuna sicurezza. Non sappiamo mai davvero cosa possa essere utile per il nostro futuro o quando e se arriverà quel quid un giorno sfruttabile a nostro vantaggio. Per me è arrivato quando meno me lo sarei aspettato, in un momento critico della mia vita, superato grazie a due strumenti prima di allora per me privi di utilità. Quando sappiamo qualcosa siamo convinti di quello che facciamo, il che ci consente di andare avanti con facilità. E quando non lo sappiamo? Dovremmo semplicemente essere più open-minded, non lasciarci sfuggire le novità, accettare di più, imparare, accogliere. Per esempio, a voi giovani studenti, prossimi professionisti, consiglio di imparare e accogliere le lingue straniere: in primis la lingua inglese, un grosso vantaggio al giorno d’oggi, che fa davvero la differenza nel competitivo mondo delle opportunità.

La passione, poi, alimenta il sogno, che è il secondo ingrediente che vi consiglio di inserire nella ricetta della vostra vita. Un aneddoto: sapete perché l’Asia oggi è più forte in generale, rispetto all’Europa? Perché in Asia si fanno scarpe di marca e si sogna di averle, mentre in Europa si cammina con le scarpe di marca ma non si sogna di averle. Questa immagine è l’emblema di quello che oggi sto cercando di dirvi, e se dò uno sguardo alla mia carriera è esattamente quello che ho imparato”.

In ultimo, Wencel affronta il delicato tema dei giovani. Sottolinea l’impegno di Nestlè in questo senso, attraverso ALLIANCE FOR YOUTH: un’iniziativa volta all’inserimento professionale di giovani talenti, portata avanti con grande impegno.

Il progetto si prepone lo scopo di accrescere la c.d. employabilty, vale a dire incrementare le chance dei giovani talenti nel mondo del lavoro. Il programma sta portando i suoi risultati anche se indubbiamente resta pur sempre una goccia nell’oceano. I giovani di oggi si trovano ad affrontare una qualità della vita sempre più challenging rispetto a quella delle precedenti generazioni. È sicuramente questa la sfida del nostro tempo. Quello che oggi si chiede a voi Millennials è una maggiore apertura al mercato mondiale. Il prestigio dell’export italiano è un qualcosa di concreto, e questo non solo a livello di prodotto ma anche a livello di talenti. I manager italiani che ho incontrato nel mio percorso sono tra i più bravi all’estero. Siete bravi ed il mercato è pieno di opportunità. Lasciatevi guidare dalla passione e dalla voglia di fare, tenendo sempre a mente che siete, prima di tutto, cittadini del mondo. Dopotutto la mia storia insegna proprio come oggi tutto sia possibile. Non è facile, ma quel che è facile non è poi così stimolante”.

Leo Wencel Nestlè ai Master ISTUD

Un incontro, quello con l’AD Nestlé Italiana Leo Wencel, che ci lascia diversi spunti di riflessione. Prima ancora che un grande manager, abbiamo scoperto in lui un grande uomo. Un professionista capace di raccontarsi con semplicità ed autenticità, doti talvolta non facilmente rintracciabili nel momento in cui ci si confronta con personalità di questo calibro. Ecco allora che Leo Wencel può rappresentare la viva testimonianza di quanto la passione per il proprio lavoro, combinata al talento e ad una grande forza di volontà e di sacrificio, costituisca la carta vincente, l’autentico valore aggiunto o, per utilizzare le sue stesse parole, ‘la ricetta’ di un manager di successo.

 

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Nicoletta Nicosia

Nicoletta Nicosia

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