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Il progresso tecnologico in un mondo che invecchia

Laura Rinaldi, studentessa della XIX edizione del Master Scienziati in Azienda, ha vinto una delle due borse di studio in palio per il miglior elaborato sul tema “Il progresso tecnologico in un mondo che invecchia”.

Nell’era della globalizzazione e dell’informazione, lo sviluppo di nuove tecnologie e la possibilità di scambiare dati in tempo reale in tutto il mondo hanno reso la digitalizzazione e l’elaborazione dei Big-Data due fattori indispensabili per poter essere competitivi rimanendo al passo con i tempi.

L’impatto dei Big-Data sulle società attuali ha dapprima riguardato i campi della pubblicità e del commercio, in cui le azioni sono più “standardizzate”, per poi interessare altri settori come quello della medicina, della ricerca, della genomica, dell’agricoltura e della finanza. Internet ha abolito le barriere temporali e spaziali facilitando il rapporto diretto tra le persone, al tempo stesso avvicinandoci all’utopia della risoluzione dei problemi in tempo reale. L’esistenza di una memoria virtuale porta insita con sé la possibilità di elaborare ed utilizzare le enormi quantità di dati stoccate nel cloud, al fine di prevedere tendenze e prendere decisioni più razionali.

Facendo una previsione non troppo lungimirante, gli Stati che non investiranno in attività in crescita come la robotica, la genomica e in generale la ricerca tecnologica, faticheranno a rimanere a galla perdendo in stabilità economica e competitività.

La percezione del tecnologico e del nuovo
La facilità di approccio alle nuove tecnologie e la capacità di accoglierle è un fattore che può essere definito in parte culturale, non scindibile da tradizioni, storia e anche religione di ciascun Paese. Le culture occidentale e orientale guardano in generale al futuro automatizzato e digitale in maniera molto diversa. In occidente il rifiuto e la paura nei confronti delle tecnologie e della robotica sono fortemente radicati, ne sono testimoni la letteratura e antichi miti del Vecchio Continente.

Si pensi a Tantalo e Prometeo, che per aver donato agli uomini rispettivamente nettare e ambrosia, e fuoco, sono condannati ad una punizione divina; lo scienziato Frankenstein, il “nuovo Prometeo”, raccontato da Mary Shelley nel suo più celebre romanzo, riesce a dare vita ad un essere mostruoso che porterà alla sua stessa morte; il Dr Jekyll, nel romanzo di Stevenson, inventa una pozione in grado di sdoppiare la personalità dell’uomo, ma l’abuso della sostanza porterà al prevalere del Male sul Bene fino alla morte stessa del dottore. Nell’estremo oriente invece i robot e le macchine sono visti in un’ottica totalmente diversa: gli individui sono portati quasi istintivamente ad accettare il “nuovo” e “diverso” e questa attitudine risiede in una predisposizione culturale. Ad esempio secondo un’antica religione del Giappone, lo Shintoismo, gli oggetti possiedono un’anima al pari degli esseri umani. Da qui la tendenza a percepire come più naturale una società composta da uomini e macchine in grado di scambiare informazioni tra loro.

Lo sviluppo della medicina verso l’era tecnologica
La medicina, come molte altre discipline, nasce come alchimia, una scienza esoterica che si basa su progressivi tentativi per il raggiungimento dell’onniscienza, della creazione della panacea universale e di quella dell’elisir di lunga vita. Sebbene siano passati secoli e tante siano state le scoperte e le innovazioni fatte sino ai giorni nostri, il grande sogno dell’umanità rimane sempre lo stesso, ovvero quello di una vita sana, felice e sempre più lunga. L’innovazione scientifica e tecnologica rappresenta la chiave per avere accesso a questo cassetto. Ci sono persone che alla morte decidono di farsi congelare in attesa di una qualche scoperta che possa riportarli in vita. Human Longevity è una compagnia che tramite l’utilizzo del sequenziamento genico, mira ad individuare quei geni responsabili dell’invecchiamento mettendo un freno agli effetti che esso comporta.

Enormi sono inoltre i passi avanti effettuati in campo chirurgico mediante l’impiego di robot in grado di eseguire vere e proprie operazioni, di effettuare anestesie assistite, per non parlare dei micro-robot per il trattamento dei tumori capaci di raggiungere il tessuto malato dove rilasciano radiazioni senza colpire gli organi sani. Ma è in campo genomico che si osserva una vera e propria innovazione: ovvero quella di prevedere se e quali malattie un individuo potrà sviluppare. Ci sono compagnie che eseguono sequenziamenti per scoprire il tipo di tumore indicando quale gene ha subito una mutazione; altre analizzano solo alcuni geni messi in relazione con l’insorgenza di specifiche malattie. Tra queste Base Health accoppia al sequenziamento del genoma dei clienti l’applicazione di algoritmi a informazioni cliniche, comportamentali e ambientali per fornire una terapia personalizzata.

Sebbene queste siano importantissime innovazioni, ce ne sono altre più piccole e alla portata di tutti che, accompagnando le persone nelle azioni più semplici, hanno il potere di migliorare la qualità della vita: fascicolo sanitario elettronico, centro unico di prenotazione, telemedicina, wearable devices cioè dispositivi connessi che rilevano dati capaci di monitorare parametri vitali per attività di diagnosi, prevenzione e controllo. I dati ottenuti da questi strumenti possono essere integrati con quelli provenienti dallo storico di ospedale, cliniche private, ambulatori e laboratori di analisi, generando un database ricco di informazioni che possono essere utilizzate per prevenire le malattie mediante l’applicazione di algoritmi che correlano i fenomeni, evidenziano i rapporti di causa-effetto e i parallelismi.

Una società che invecchia
Se da una parte l’aspetto culturale gioca un ruolo importante nello sviluppo di nuove tecnologie, c’è un altro fattore da tenere in considerazione: quello demografico e sociale.
Il nostro è un mondo che invecchia, la popolazione anziana aumenta perché si prolunga l’aspettativa di vita, mentre quella giovane diminuisce perché si fanno sempre meno figli. Se si aggiunge a questo una forte chiusura verso l’immigrazione presente in alcuni Stati, va da sé che in un futuro molto prossimo la disponibilità delle risorse umane da impiegare spesso in funzione di Badanti non sarà più sufficiente. Con la terza età esiste anche la possibilità di sviluppare malattie come la demenza senile, l’Alzheimer, il Parkinson e altre, che debilitano fortemente la persona non solo a livello fisico ma anche mentale. Operatori socio sanitari che si prendono cura ogni giorno di queste persone sono soggetti a rischio di depressione, squilibri psichici e di burnout. Il principale motivo di questo decorso risiede nell’essere costantemente a contatto con il disagio psichico e la malattia mentale.

Ecco che in Giappone, il Paese con il più alto numero di anziani al mondo, si stanno mettendo a punto robot che possano prendersi cura degli anziani. Questi robot sono “intelligenti” perché apprendono aggiornandosi tramite le esperienze contenute nel cloud e il loro supporto potrebbe essere esteso anche a quelle persone che soffrono di disturbi mentali. Tali robot non solo dovranno essere in grado di svolgere le mansioni prettamente manuali e tecniche di un badante, ma dovranno anche essere capaci di interagire con l’uomo e l’ambiente circostante.

Gli anziani inoltre fanno spesso fatica ad interagire con le nuove tecnologie, devono superare barriere culturali e sociali. Tra gli anziani esiste una sorta di ambivalenza nei confronti dei nuovi strumenti: c’è chi li accetta, li usa e li consulta e c’è invece chi ignora la loro esistenza, rifiutandoli come un’interferenza nella propria vita. Tuttavia bisognerebbe formare ed addestrare dei nuovi “tutor” fra le generazioni più giovani, il cui lavoro sarà finalizzato a trasmettere i vantaggi connessi dell’uso di uno smartphone, o di un computer. Questi nuovi tutor potrebbero ri-educare gli anziani a superare quella pigrizia che spesso si sviluppa in tarda età, facendo leva sugli interessi dei singoli individui.

Il ruolo del medico oggi
Il lavoro del medico dagli anni ‘50 agli anni ‘70 non è cambiato molto, la sua attività si svolgeva soprattutto al capezzale del letto dei pazienti dove il contatto umano assumeva un ruolo molto importante perché rassicurante. Il progresso scientifico avvenuto nei decenni successivi ha invece profondamente modificato questa professione. Sebbene le varie scoperte tecnologiche in campo medico e l’avvento dei computer abbiano ridotto i tempi di attesa e abbiano alleggerito il medico da molte attività di routine, il tempo impiegato con il paziente, in parecchi casi, paradossalmente è venuto meno. Conversando con mia nonna a proposito delle nuove tecnologie sono emerse le diversità tra presente e passato soprattutto nel campo della medicina, forse perché questo è l’ambito che gli anziani osservano di più. Per loro è stupefacente il progresso che si è attuato in così poco tempo nel campo della diagnostica e della cura di malattie a causa delle quali un tempo si moriva senza sapere il perché.

La maggior parte della popolazione “over” accetta e si sottopone ad esami clinici eseguiti con strumenti definiti magicamente “macchinari” moderni, con grande fiducia e grandi aspettative. Quello che invece gli anziani rimpiangono dei tempi passati risiede nel rapporto personale con il medico: un tempo egli era visto come il confidente, che ascoltava e conosceva tutto delle persone, della loro casa e della loro storia. Ora medici e studenti trascorrono più della metà della giornata davanti al computer facendo briefing per esaminare risultati di vari esami dei pazienti che sono diventati degli “iPatient”, termine coniato da Verghese che assume una connotazione da un certo punto di vista inquietante. Il medico non ha più tempo, a volte cura per telefono e non visita quasi mai a casa, dice la nonna. Ciò che manca alle persone più anziane è fondamentalmente l’immedesimazione del medico nella loro persona perché non arriva più a conoscerne i sentimenti e i pensieri. Anche in campo accademico le competenze acquisite dagli studenti riguardano più l’apprendimento di come valutare un esame bioptico e gestire la documentazione, a discapito delle competenze tradizionali per fare una buona anamnesi o per ricostruire la storia clinica del paziente. Si tende a perdere il rapporto di fiducia in quanto si presta maggiore attenzione alla cura delle malattie piuttosto di quella riservata alla persona e al tempo stesso si fa più affidamento all’analisi strumentale, dimenticando spesso l’aspetto semeiotico della visita.

A fianco dell’utilizzo delle nuove tecnologie sarebbe importante ricostituire i rapporti e le connessioni umane davvero utili nella cura dei pazienti. Tornando alla conversazione avuta con mia nonna, abbiamo parlato della differenza di approccio che la sua generazione ha avuto nei confronti dell’avvento della televisione intorno agli anni ‘50. La tecnologia apriva a un mondo nuovo, ma non era divisiva, era piuttosto uno strumento di aggregazione, di riunione tra le famiglie, di informazione e cultura, a differenza dei “telefonini” che spesso creano situazioni di isolamento e di difficoltà nei rapporti interpersonali.

Se da una parte il progresso tecnico-scientifico è di fondamentale importanza ed è inarrestabile, dovremmo chiederci quali sono i suoi confini e quali sono quelli dell’antropologia che guarda all’essere umano sotto aspetti culturali e sociali. Abbiamo robot, app, dispositivi all’avanguardia in grado di eseguire azioni fino a pochi anni fa inimmaginabili,…(e altri ancora più sofisticati arriveranno), ma dobbiamo stare attenti a non cadere nella “tecno-utopia” in quanto la tecnologia non può risolvere tutti i nostri problemi e soprattutto sostituirsi all’uomo negli aspetti più umani della vita.
City4Age è un progetto coordinato dal Politecnico di Milano e finanziato dal programma Horizon 2020, finalizzato a rilevare, monitorare ed incrociare le informazioni provenienti dalle Smart Cities mediante l’utilizzo di dispositivi digitali. City4Age è pensato per la parte della popolazione soggetta a più rischi di tipo salutistico e cioè gli anziani. Una volta individuati cambiamenti nel comportamento di queste persone che potrebbero essere indicatori di un certo tipo di rischio, viene avviato un preciso piano di comunicazione con l’individuo per indurlo a modificare il comportamento rischioso, mediante l’utilizzo di dispositivi tecnologici che inviano consigli e suggerimenti, ma anche messaggi di natura più emotiva ed empatica.

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Laura Rinaldi

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