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La “didattica” del sentimento. La formazione secondo Gian Piero Quaglino

A cura di Francesca MascioliAnna Rando e Flaviana Scimò – Master in Risorse Umane 2016-2017

Sono dell’avviso che neppure chi abbia completato la scuola o l’università abbia terminato la sua educazione… arrivati alla cruciale regione dei 40 anni ci si presenta la domanda fatale: a che punto sono?

Esordisce così il professor Gian Piero Quaglino di fronte alla platea dei 72 studenti dei Master Marketing e Risorse Umane e Organizzazione, che l’hanno accolto nell’aula giardino della Fondazione ISTUD, giorno 24 Gennaio. Quaglino cita con queste parole lo psichiatra e antropologo svizzero Carl Gustav Jung che da sempre è stato il filo rosso che ha tenuto salda la sua carriera. Una carriera che prosegue da 45 anni nell’ambito della formazione per adulti.

L’interesse del professor Quaglino per l’ambito formativo ha dato vita, nel corso degli anni, ad una vasta saggistica. Una disposizione allo studio e all’analisi che tuttavia non ha mai perso di vista l’approccio psicologico di matrice junghiana. Ripercorrendo in breve la bibliografia sull’argomento, abbiamo una più completa visione di quale sia la sua concezione della formazione. Citiamo a tal proposito quella che è stata una delle pietre miliari tra i contributi di Quaglino: il saggio Formazione, che offre una panoramica completa sui molteplici approcci formativi (professionale, manageriale, formazione degli adulti, autoformazione) e ne ripercorre l’evoluzione negli ultimi trent’anni.

Se da un lato scritti come “Gioco di squadra“, “Avere leadership” o “La vita organizzativa si concentrano su aspetti specifici in ambito professionale, delineando analisi e soluzioni su questioni “pratiche”, in “Formazione” si vuole invece dimostrare come differenti siano i contesti organizzativi e istituzionali in cui la formazione ha solidificato la propria presenza, permettendo così un ampliamento dell’orizzonte applicativo. Quaglino spiega come la formazione sia un contesto multiforme, ove applicare sperimentazioni ed innovazioni metodologiche che possano non solo fornire conoscenze, competenze didattiche e “settoriali”, ma anche arricchire il modo stesso di pensare ed interpretare il mondo. Quali sono i metodi formativi che Quaglino passa allo scandaglio? Il professore sceglie di soffermarsi tanto su quelli più classici, come la lezione frontale e i giochi di ruolo, quanto su quelli più specifici, ad esempio basati sul team working, sul career coaching o sui video interattivi, sino a giungere a quella tipologia di approccio formativo incentrato sulla cura e la conoscenza di sé.

E’ invece nella postfazione del saggio Fare formazione che Quaglino ha delineato un esaustivo “manifesto per una nuova formazione”, la quale possa destrutturare il tradizionale assetto, per riplasmarne i metodi, in linea con i nuovi bisogni in ambito di sviluppo professionale e personale. Come è evidente, il discorso di Quaglino ha sempre posto attenzione al discorso dell’auto-formazione, abbinando tale particolare tendenza ai più classici approcci formativi.

Quaglino - la scuola della vitaL’interesse per la formazione di sé è espressa al meglio nel saggio intitolato, per l’appunto, “Autoformazione. Qui il professore intende veicolare la concezione di formazione non tanto verso l’apprendimento di nuove nozioni, bensì verso la conoscenza del proprio sé interiore, divenuto in tal modo oggetto stesso dell’iter formativo. Il progetto di autoformazione ci permette di diventare gli unici responsabili del nostro apprendimento, orientandolo verso le nostre stesse esigenze “interiori”. L’affinamento delle proprie conoscenze e competenze, dunque, ha come presupposto una crescita personale. Nonostante la carica innovativa del saggio, l’intervento si presenta come una raccolta dei più rappresentativi contribuiti internazionali sul tema, in modo da offrire uno spaccato informativo agli studiosi e agli operatori dell’educazione. Quello che invece possiamo definire un vero e proprio, definitivo, manifesto dell’autoformazione che, come vedremo, è detta anche “terza formazione”, è il saggio “La Scuola della Vita“.

Il professor Quaglino, prima di spiegarci cosa intendesse per formazione, ha fatto un riferimento esplicito al sistema educativo del nostro paese. Egli, infatti, considera il nostro sistema piuttosto arretrato perché legato fortemente all’idea di “istruzione accademica” e alla “conoscenza dei saperi”. Questo modello, a parere del professore, ha due facce: quella della formazione trasmissiva che riguarda il corso tipicamente accademico e teorico e quella della formazione elaborativa rappresentata dalla creazione di un progetto pratico. Al di là di questa distinzione, tuttavia, Quaglino propone un modello innovativo, definito “terza formazione”, che tratti di questioni esistenziali piuttosto che meramente tecniche. Una formazione che miri, come da lui stesso espresso, alla “costruzione di sé e al saper pensare piuttosto che saper fare”. E’ interessante evidenziare come Quaglino nell’ideare quest’idea di formazione si ispiri al libro di Gilles Clément intitolato “Terzo Paesaggio“, inteso come rifugio della diversità.
A noi non interessa né la coltivazione intensiva degli alberi, né quella intensiva degli animali; a noi interessa il paesaggio per quello che è. Bisogna quindi intervenire il meno possibile e osservare con attenzione le trasformazioni a cui qualunque specie che abita in quel paesaggio andrà incontro; e accompagnarle, e assecondarle e sostenerle, e incoraggiarle, e intervenire ma senza nessun accanimento paesaggistico”.

La Terza Formazione dovrebbe essere quella che permette un miglioramento personale, un cammino di apprendimento individuale, il cui traguardo sarà misurato anche in termini di cambiamento e trasformazione personale. In altri termini, bisogna dar vita ad una formazione in cui ciascuno possa ritrovare se stesso, e mentre ciò accade, scegliere la propria strada, senza essere condizionato dagli stereotipi attuali. La formazione non deve essere orientata solo ed esclusivamente alle mutevoli esigenze organizzative e “al mondo esteriore”, ma deve essere capace di parlare di ciò che è fondamentale nella nostra vita. Ma chi si occupa di formazione? A proposito della figura del formatore, Quaglino è del parere che la creatività sia una requisito chiave. Il formatore, infatti, come uno “sceneggiatore”, deve inventare e reinventare quotidianamente sia i contenuti che i modi dell’apprendimento. In questo modo, tramite la stimolazione dell’immaginazione riesce a mantenere viva l’attenzione. A fine incontro abbiamo approfittato della disponibilità del professor Quaglino per approfondire alcune nostre curiosità; alla domanda “come scopriamo se stiamo facendo il passo giusto per avvicinarci alla terza formazione?” ci ha risposto senza esitare che occorre esercizio. L’etimologia stessa del verbo apprendere, dal latino ad-pre(he)ndĕre, significa per prima cosa “afferrare” quindi, implica che “per afferrare bisogna essere afferrati” e che apprendiamo “ogni qual volta siamo di fronte ad un territorio ambiguo” che ci incuriosisce. Il segreto per costruire un setting in cui sia facilitata questa predisposizione consiste nel destituire ogni conoscenza tecnica.

La Terza Formazione è, quindi, un’attività che richiede fatica e che incontra alcuni intralci legati alla nostra epoca, ovvero la perdita della padronanza della parola e la tendenza ad un pensiero uniformato. Contestualizzando la terza formazione ai temi di nostro interesse in quanto studenti di Master Risorse Umane e Organizzazione e Marketing Management, il professor Quaglino ha confermato la nostra idea secondo cui un’organizzazione forte, innovativa e resiliente dovrebbe avere a cuore la coltivazione di questo nuovo approccio alla formazione in quanto, se c’è una base più solida, le conoscenze possono essere spese meglio. In ultima analisi ci siamo chiesti se con l’introduzione della terza formazione, non si rimettesse tutta la responsabilità nelle mani del singolo individuo e quante persone dovrebbero e possono avvicinarsi alla terza formazione; a tal proposito il professor Quaglino ci ha offerto uno scenario ottimistico: tutti possono farlo; ognuno di noi è nelle condizioni di poterlo fare se lo desidera veramente. Ci viene in mente, a questo punto, il pensiero di Carl Gustav Jung: “Io non sono ciò che mi è capitato d’essere. Io sono ciò che ho scelto di diventare”.

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Flaviana Scimò

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