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Team-Work Essentials – Parte II

Azioni di Leadership
A un certo punto, quando si parla di Team-Working, la parola Leadership salta fuori. Ciò accade ovviamente anche nelle aule dei Master cui facevo riferimento in apertura dell’articolo (vedi Parte I: “Il cruscotto della felicità”) e di solito porta con sé una certa quantità di convinzioni, che emergono nelle esercitazioni e che provo a riassumere ed elencare qui sotto:

  • Nei gruppi di lavoro dovrebbe emergere un Leader, che “prende in mano la situazione” e guida gli altri
  • Il Leader, nel gruppo, è quello più estroverso e determinato, quello che si fa sentire di più
  • Se all’interno di un gruppo ci sono più persone con queste caratteristiche (determinazione ed estroversione) è facile che confliggano
  • In un gruppo con gerarchia definita, il capo dovrebbe essere anche il Leader
  • Ci sono persone che hanno delle “doti innate” di leadership, altre no. Chi non le ha (non se le attribuisce) è bene che si limiti a seguire

Non sorprende che ciò accada, considerata la mole di “materiale culturale” prodotta e veicolata intorno a questi temi nella nostra società. Siamo tutti tendenzialmente figli della mitologia dell’”Uomo solo al Comando” o del “Grande Risolutore”, che pone su un piedistallo l’eroe o l’eroina di turno che con il suo carisma eccezionale conduce alla vittoria le masse (in perfetto stile Braveheart!). Più o meno consapevolmente, quando ci troviamo immersi in dinamiche di gruppo, dentro di noi si attivano questo tipo di schemi interpretativi, che poi guidano le nostre azioni. Se non riusciamo ad essere l’eroe, possiamo seguirlo, ammirarlo, invidiarlo e persino combatterlo.

Ora, senza volersi inventare su due piedi l’ennesima teoria sulla leadership da aggiungere alle già innumerevoli esistenti, vorrei semplicemente ragionare su questo argomento alla luce di quanto detto fino a qui. Nella prima parte dell’articolo ho sintetizzato alcuni dei principali tratti che caratterizzano il Team-Work nello schema-metafora del Cruscotto, che riporto qui di seguito…

cruscotto parte ii

Quando qualcosa non funziona all’interno di un Gruppo di Lavoro, solitamente quel “qualcosa” può essere ricondotto ad uno o più di questi indicatori, che possiamo rinominare Bisogni. Perché un Team possa lavorare bene è importante che tali bisogni (individuali e collettivi) siano in qualche misura soddisfatti. Qualora così non fosse sorge spontaneamente un senso di Frustrazione (più o meno intensa), che segnala la presenza di un qualche “problema”. Meno adeguatamente tale problema viene affrontato, più finisce per incidere negativamente su risultati prodotti e clima percepito, dissipando la motivazione. A partire da queste premesse, possiamo derivare che, all’interno di un Gruppo di Lavoro…

Chiunque percepisca, in sé o negli altri, della frustrazione, ne riconosca l’origine specifica e fornisca una risposta soddisfacente ad essa, sta compiendo una Azione di Leadership. Proviamo ad analizzare questa affermazione nel dettaglio:

  • Chiunque” significa che questa possibilità/opportunità non è prerogativa di uno specifico ruolo, ma riguarda potenzialmente tutti i membri di un Gruppo di Lavoro. Questo in realtà è tautologico: la condizione di sostanziale interdipendenza che contraddistingue un Gruppo implica necessariamente co-responsabilità. Ciò significa innanzitutto che i bisogni personali (in relazione all’obiettivo, sia ben chiaro!) che non trovano una risposta impattano inevitabilmente sul funzionamento complessivo del gruppo; e in seconda battuta che ciascuno è perlomeno responsabile della soddisfazione dei propri bisogni.
  • percepisca” sta ad indicare che questo tipo di attitudine ha più a che fare con la Sensibilità che con la competenza o la preparazione tecnica. Anzi, spesso la focalizzazione dell’attenzione sul mero piano esecutivo (il classico “lavorare con il paraocchi”) ottunde la percezione e impedisce alle persone di accorgersi per tempo che c’è qualcosa che non funziona.
  • in sé o negli altri”: come si diceva, ciascun membro di un Gruppo di Lavoro è responsabile perlomeno della soddisfazione dei propri bisogni; ciò non significa che non possa intercettare anche i bisogni altrui, magari espressi in maniera confusa o malcelati. Anche solo sollecitare l’espressione chiara di eventuali difficoltà rilevate nei comportamenti dei compagni, può essere in alcuni casi fondamentale per evitare successive crisi.
  • della frustrazione” è proprio quel senso di disagio, di scomodità, di irrigidimento che possiamo riscontrare a livello fisico, emotivo e psicologico ogni qual volta ci troviamo in situazioni spiacevoli e che ha la funzione di tutelarci, a patto che lo ascoltiamo piuttosto che ignorarlo o metterlo a tacere forzosamente. E’ proprio per questo che, come appena detto, la sensibilità gioca un ruolo cruciale nel Team-Working.
  • ne riconosca l’origine specifica”, ovvero che sia possibile mettere in relazione questo senso di disagio con degli specifici bisogni non soddisfatti, facendo anche solo riferimento alla mappa-metafora sopra riportata. A tal fine, le domande correlate a ciascun indicatore e suggerite nella prima parte dell’articolo possono essere di grande aiuto.
  • e fornisca una risposta soddisfacente” è un passaggio cruciale, ovvero: non basta individuare l’origine dell’insoddisfazione (sia essa personale, altrui, o collettiva) all’interno di un Gruppo di Lavoro; è fondamentale provare a fornire una risposta adeguata ad essa, ovvero approcciarla in modo costruttivo. In un certo senso lavorare in team significa esattamente questo: farsi carico dei suoi bisogni, che includono ma non si esauriscono in quelli personali. Ecco allora che la misura dell’efficacia della risposta fornita sarà l’eventuale diminuzione del senso di frustrazione percepita ed un aumento della motivazione.
  • sta compiendo una Azione di Leadership”: quanto più questo impatto positivo (diminuzione di frustrazione e aumento di motivazione) sarà intenso e collettivo, tanto più potremo attribuire al comportamento agito la funzione di Leadership. Questo significa che:
  1. ciò che conta non è chi compie l’azione ma l’azione stessa;
  2. l’efficacia dell’azione-comportamento può essere verificata solo a posteriori; fino ad allora è solo un tentativo di influenzamento (più o meno riuscito);
  3. la tipologia e la varietà di Azioni di Leadership può essere estremamente eterogenea, proprio perché vincolata ad una varietà di possibili bisogni (o combinazioni di bisogni) non soddisfatti;
  4. qualunque membro di un gruppo, in qualsiasi momento, ha la possibilità di intercettare dei bisogni e provare a fornire risposte.

Tutto ciò ci consente di ridefinire anche il concetto di Leader: nella prospettiva culturalmente più diffusa esso infatti cristallizza una gamma infinita di possibili comportamenti in uno pseudo-Ruolo fisso, che tendenzialmente iper-responsabilizza chi crede di interpretarlo e de-responsabilizza gli altri. Al contrario, un Gruppo di Lavoro in cui ciascun membro impara a riconoscere i bisogni che progressivamente si manifestano al suo interno e sviluppa un atteggiamento costruttivo nei loro confronti, moltiplica la propria stabilità, minimizza il rischio di impasse e aumenta la capacità di generare risultati. Cosa succede infatti se il fantomatico Leader, quello a cui è stata delegata la totale guida del gruppo, per una qualsiasi ragione va in crisi?

Inoltre la peculiare sensibilità personale può essere maggiormente valorizzata: accorgersi e invitare i propri compagni di lavoro meno estroversi ad esprimere liberamente le proprie opinioni o perplessità può rivelarsi un’Azione di Leadership altrettanto efficace del “picchiare i pugni sul tavolo” e incitare il gruppo a non arrendersi di fronte ad una qualche difficoltà.

Questo, a mio parere, significa depotenziare la prospettiva ego-centrica e lasciare spazio ad un approccio davvero Sistemico, tendenzialmente più ecologico ed ergonomico, oltre che più confortevole. Perché possa verificarsi questo cambio di atteggiamento è necessario tuttavia investire un pochino di attenzione ed energia, considerata la poca dimestichezza che abbiamo in generale con il lavorare in gruppo e l’intensità dei condizionamenti a cui siamo stati e siamo tuttora sottoposti.

Come io e il mio collega Marco Leonzio diciamo agli studenti dei Master che incontriamo, l’investimento vale il risultato: diventare dei buoni Team-Member (ovvero in grado di riconoscere e dare risposte adeguate ai bisogni di un Gruppo) significa innanzitutto semplificarsi la vita in termini di diminuzione delle dinamiche conflittuali, ma soprattutto significa essere persone con le quali agli altri piace lavorare. E questo, in un mondo del lavoro in cui il Team-Work e la reputazione personale contano sempre di più, può davvero fare la differenza.

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Nicola Castelli

Nicola Castelli

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