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Esercizi di Storytelling al Master Scienziati in Azienda: Edipo

I partecipanti del Master Scienziati in Azienda hanno realizzato come esercizio di storytelling e public speaking un video e un articolo relativo ad un personaggio della mitologia greca attualizzato.

Il gruppo composto da Simone Giusto, Brunella Merante, Maria Soprano, Davide Torcivia, Valentina Tosi ha lavorato sul mito di Edipo in versione “Edipo 2.0: il bamboccione”

Il rapporto figlio-genitore è sempre stato un interessante spunto di riflessione su come esso influenzi la società e le scelte di vita di ognuno di noi. Se da un lato il tema affonda le proprie radici nei miti dell’antica Grecia, dall’altro trova la sua espressione nelle attuali dinamiche famigliari. Vendetta, passioni, intrighi e tradimenti sono elementi caratterizzanti le relazioni conflittuali domestiche descritte nei miti, in particolare in quello di Edipo e di Elettra (tragedie di Sofocle). Edipo si ritrova inconsapevolmente ad uccidere il padre e a sposare la propria madre, mentre Elettra coltiva un amore morboso per il padre e medita vendetta nei confronti della odiata madre. L’approfondimento del mito greco in chiave psicoanalitica evidenzia alcuni aspetti cruciali della crescita di qualsiasi individuo. Il mito diviene “complesso” e si identifica con la fase fallica dello sviluppo caratterizzata da un desiderio infantile, universale e inconscio, di possedere il genitore di sesso opposto. Tale momento evolutivo è cruciale per l’organizzazione della vita psichica dell’individuo e sancisce la differenza tra i sessi e tra le generazioni. Le analisi del complesso sono talmente radicate nel tessuto sociale da risultare ancora attuali e prendere forma nelle più svariate arti. Il complesso di Edipo viene così ricostruito in chiave autobiografica da Pasolini in Edipo Re (1967), si ritrova nel romanzo La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo e diviene musica con i Doors (The End, 1966), De Andrè (Al ballo Mascherato, 1973) e Gaber (Quando sarò capace d’amare, 1994). Questa specifica fase di sviluppo del figlio si risolve spontaneamente attraverso la progressiva identificazione con il genitore dello stesso sesso. Ma cosa succede se non viene superato il complesso? Il bambino diventa un adulto immaturo, eternamente incapace di prendere decisioni e dipendente dai propri genitori. I moderni Edipo ed Elettra cercano in modo disfunzionale un riflesso del genitore “amato” nei propri partner, si rifugiano continuamente nella famiglia, da cui si fanno mantenere e in cui si sentono al riparo dalle difficoltà. Restare in questo nido, o comfort zone, è inizialmente fonte di serenità, ma diventa a lungo andare causa di frustrazione. La figura mitologica derivante è stata provocatoriamente definita dal ministro Padoa Schioppa “bamboccione”.

L’Italia è nota essere un popolo di “bamboccioni”, perciò non dovrebbe stupire il rapporto Istat dal quale risulta che più del 62,5% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora in casa con i genitori. I giovani restano in casa vinti dalla flessibilità e dalla comodità che i genitori riescono a garantire loro. D’altra parte la famiglia italiana vive con angoscia l’allontanamento del figlio, mentre in Europa il distacco viene percepito come una tappa obbligata e necessaria alla sua crescita.  Interessante è confrontare i dati italiani con quelli del resto d’Europa. Dalle ultime ricerche Eurostat emerge che in media solo il 39,1% dei giovani europei tra 25 e 29 anni vive con le famiglie. Prendendo in esame il dato europeo si può notare che il continente risulta diviso in due: da un lato stati del Nord che presentano un valore non più alto del 7%, dall’altro Stati del Sud ed Est Europa che raggiungono valori fino al 70%.

È evidente che per i giovani negli Stati in cui il Pil è più basso, dove c’è più disoccupazione e dove non vi sono sussidi statali per chi studia, restare in casa è una scelta quasi obbligata. Un altro fattore determinante è la durata degli studi: in Italia la laurea è raggiunta intorno ai 25-30 anni. Si può anche dare un’interpretazione culturale-religiosa al fenomeno, infatti negli Stati a stampo protestante è normale affittare un piccolo monolocale o convivere con altre persone, mentre, nei Paesi cattolici ed ortodossi, i figli trovano principalmente motivo di lasciare casa nel matrimonio o nella convivenza con il compagno.

Uno Stato modello è la Danimarca, “the happiest nation in the world”, un Paese per i giovani in cui l’università è gratis per tutti i cittadini dell’Unione Europea. I giovani che si iscrivono ad un corso dopo le scuole superiori ricevono una borsa di studio mensile dallo Stato, il cui importo raddoppia per quelli che non vivono più con le loro famiglie.

In un periodo di crisi economica e sociale vale la pena chiedersi se tali ragioni vadano ricercate nella sfera familiare oppure siano legate a ragioni economiche. Differenti studi hanno dimostrato che le cause principali del fenomeno siano legate soprattutto all’educazione e alla cultura condivise all’interno del nucleo familiare. Ma di chi è la colpa?

Una ricerca del 1946, pubblicata sul Journal of Positive Psychology, ha mostrato come l’iperprotettività dei genitori verso i figli possa causare dei danni psicologici che permangono da adulti, impedendo il raggiungimento della piena soddisfazione personale. Un controllo costante e ossessivo dei genitori sui propri figli può limitare la loro capacità decisionale, impedendogli di fare le proprie esperienze e di crescere. Il genitore rifiuta la separazione dal figlio ed ogni volta che questo tenterà di ribellarsi o allontanarsi pagherà questa sua decisione con un angosciante senso di colpa. Di conseguenza, i figli cresciuti da madri iperprotettive non riescono a prendere delle decisioni senza il loro benestare, hanno una scarsa autostima e sono abituati ad essere svalutati, ciò porta inevitabilmente a non sviluppare un senso di indipendenza, coscienza di sé e degli altri.

La permanenza di un figlio, a stretto contatto con un genitore troppo invadente, fa crescere in lui un sentimento di iperprotezione. Questo eterno Peter Pan si rifiuta di crescere, di assumersi le sue responsabilità e considera ostile il mondo adulto. Non sente il bisogno di indipendenza e si adagia nel calore familiare, che provvede a dare risposte prima ancora che lui possa porre domande.

L’incapacità di agire del figlio può anche derivare da un atteggiamento opprimente da parte di un genitore troppo severo.  Questo tipo di genitore nutre delle grandi aspettative nei confronti del proprio figlio, si aspetta che lo stesso riesca a realizzarsi dove egli ha fallito. Così il figlio avverte un senso di frustrazione, sentendosi continuamente sotto pressione e oggetto di paragone con parenti e conoscenti. Entrambe le estremizzazioni genitoriali, dall’iperprotettività alla criticità svalutativa, innescano nel figlio dei comportamenti poco maturi e responsabili.

L’analisi ha mostrato come la società italiana tenda ad incrementare il fenomeno promuovendo una cultura di eterna dipendenza sia economica che affettiva dalla figura genitoriale. Una spinta all’autonomia potrebbe essere rappresentata dall’istituzione di incentivi da parte dello Stato. D’altro canto i moderni Edipo ed Elettra non potranno mai raggiungere la piena autosufficienza senza un radicale cambiamento nell’educazione nella cultura familiare.

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Simone Giusto

Simone Giusto

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