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Intervista a Simone Chieco – HR Manager GSK

Prima uscita delle interviste MiA – Manager In Action, parte integrante del Master in Risorse Umane e Organizzazione.
Quest’intervista è stata realizzata e curata da Emanuela Proto, partecipante della XXVI Edizione del Master.

 


 

“Lavorare nelle Risorse Umane significa ricoprire un ruolo che è esposto, essere uno per tantissimi, in alcuni contesti viene considerata come posizione di potere, in quelli più sani come una posizione da influencer. Far sentire le persone apprezzate, far crescere i talenti, metterti al servizio: fai questo e sarai un bravo HR Manager. Per quanto sia una posizione di rilievo, ricordati che se non ci fosse una popolazione da servire, tu non serviresti.”

Così sottolinea Simone Chieco, HR Manager presso GSK, raccontando della professione di cui è riuscito a farne una passione oltre il lavoro, a canalizzare le sue naturali doti relazionali e la sua curiosità nei confronti di ciò che è innovativo e può apportare miglioramento. Quello che è il racconto di un percorso professionale sempre in salita si incastra perfettamente con un’analisi lucida del settore e dei suoi punti chiave, che andiamo a riportare seguendo i momenti salienti della sua crescita umana e lavorativa.

Simone si laurea in Giurisprudenza a Bari e, dopo un primo approccio alla consulenza internazionale, cambia rotta ed entra nel contesto delle risorse umane.

Si trova a lavorare a Brindisi in un’azienda aerospaziale di grande spessore, si occupa di relazioni industriali e ben presto si trova a gestire l’assorbimento dell’azienda da parte di una multinazionale americana, nonché la conversione dei volumi produttivi dallo stabilimento olandese a quello pugliese, giá in fase di contrazione.

Racconta questa esperienza come occasione altamente formativa e prettamente tecnica, che gli permette di mettere a punto in breve tempo le sue Hard Skills, gestendo “CCNL alla mano” i rapporti con la fabbrica ed il sindacato, imparando a padroneggiare le regole e a gestire anche situazioni complicate.

Alla fine del progetto si sposta a Milano, sempre per la stessa società, ma nel settore elettro-medicale, in particolare nel business che si occupa di assistenza tecnica. Si trova a gestire una popolazione itinerante di field engineer e commerciali, 330 dipendenti tra Italia, Malta e Israele.

Avendo a che fare con personale abituato a viaggiare in macchina e a spostarsi di cliente in cliente, ha dovuto impegnarsi in primis per acquisire la fiducia del suo client group qualificandosi agli occhi dei colleghi come figura di supporto, ma soprattutto per trasmettere cultura aziendale a persone che, di fatto, non vivono e non frequentano l’azienda come puó fare un lavoratore d’ufficio. È qui che impara da loro, dai venditori, ad essere un miglior comunicatore.

“Mi è stato insegnato che sino al 60% del nostro tempo lo dobbiamo investire nel comunicare, nel creare network, riconoscere e fare leva sulle qualitá professionali di altre persone. É necessario utilizzare l’organizzazione tutta per ottenere un output di valore per l’azienda e, mentre ti avvali della competenza e della specializzazione di qualcuno, impari a conscerlo e a conoscere il suo lavoro. Come suo HR di conseguenza non avrai necessità di eccessivo lavoro di valutazione nel processo di merito e sviluppo, cosí come nel suggerire quella persona per una posizione o per un incarico. Inoltre è attraverso una buona comunicazione che alcune attività si risolvono da sole o non vengono mai ad esistere: molte questioni sindacali si fondano esclusivamente sull’inadeguatezza della comunicazione aziendale o dell’HR, tant’é che i lavoratori hanno necessitá di farsi rappresentare per venirti a parlare. Come HR é necessario adottare una politica di agenda aperta, essere disponibile, dimostrare che ci tieni e che ti stai impegnando per ciascuno dei tuoi colleghi, farti carico delle loro richieste cosí come nel sederti accanto loro nelle occasioni in cui ti trovi a non poterlo fare”.

Grazie anche agli stimoli di una realtá aziendale e di un team molto aperto all’innovazione, a Milano Simone ha occasione di occuparsi di Diversity, di Smart Working, coordina il progetto Great Place to Work sino al conseguimento dell’ambito riconoscimento per l’organizzazione.

Si trova a gestire l’entusiasmo ma anche la naturale diffidenza che accompagna l’implementazione di alcuni processi innovativi, citando ad esempio quello dello Smart Working–“che oggi diamo per scontato ma cosí non era nel 2015”.

In primis, si trova a delineare un progetto conscio del fatto che, per riuscire, bisogna attingere conoscenza da tutte le fonti a disposizione, e così bussa alle porte di altre aziende, anch’esse pioniere, per confrontarsi e perfezionare lo scheletro del suo piano e capire come meglio applicarlo nella sua azienda. Definita la policy, andava ancora avviato il cambiamento culturale, far sì che tutti la utilizzassero superando la diffidenza nei confronti di “chi lavora da casa” ma anche alcune inevitabili criticitá tecnologiche e generazionali.

È qui che promuove il Reverse Mentoring.

“Ne avevo letto su internet, e l’abbiamo implementato. Da una parte abbiamo una popolazione di giovani tecnologicamente svegli ma professionalmente meno esperti, dall’altro figure più senior che, come è giusto che sia, avrebbero tanto da insegnare ma anche tanto altro da imparare, pur se non sempre cosí propensi. Allora li abbiamo invitati a trovare interessi comuni e fare un esercizio di condivisione e apprendimento che non fosse unilaterale. In generale, la diversità è sempre motore di innovazione, ed iniziative apparentemente legate ad una categoria di lavoratori vanno a beneficio di tutti”.

Dopo due anni entra in GSK e si sposta a Siena, dove sente di riuscire a capitalizzare entrambe le precedenti esperienze. Ha davanti a sé un ambiente industriale tecnologicamente avanzato, storicamente radicato nel territorio, e dalle notevoli dimensioni, perció anche molto sindacalizzato.

“Bisogna capire il business in cui si esercita la funzione HR, non c’è un profilo precostituito,ci si adatta alla dinamica aziendaleed al territorio”.

Ancora riconosce l’importanza dello stakeholder management e di una comunicazione efficace nel portare avanti innovazione: “bisogna raccontare la propria idea e raccogliere spunti da tutti per creare un prodotto che nesia la sintesi enasca giá con un discreto consenso”e ci ricorda che è comunicazione efficace quando non si fa leva sull’obsolescenza di processi che vuoi cambiare, ma quando si punta all’eccellenza dei progetti che vuoi introdurre; l’interlocutore non si sentirá in difetto per il modo in cui ha lavorato fino a quel momento, ma eventualmente per la resistenza a cavalcare l’onda di qualcosa che sta migliorando il lavoro di tuttie che riflette una piú ampia e giá diffusa volontá di cambiamento.

A inizio 2020 si sposta a Londra nell’headquarter globale, segue la Joint Venture tra Pfizer e GSK nella divisione Consumer con un impatto su decine di migliaia di lavoratori nel suo primo ruolo globale. Sedendosi accanto ai Vice President delle divisioni Digital e Global Marketing costruisce insieme a loro una nuova organizzazione con l’obiettivo d’integrare personale Pfizer in GSK in tutti i continenti, tenendo in considerazione le diverse leggi, i diversi contesti culturali, e gli obiettivi aziendali per i successivi tre anni. Quando gli chiedo se gli manca avere un Client Group assegnato o se preferisce avere il ruolo strategico che è arrivato a ricoprire, ripercorre episodi che gli permettevano di incidere personalmente sul lavoro di dipendenti che conosceva in prima persona, ma apprezza anche la possibilità di avere una visione più ampia e poter definire strategie HR a livello globale.

“Ora piú che mai faccio leva sui manager-ricorda che manager ben formati sono estensioni dell’HR-in più ovviamente si collabora con gli HR di Country per avere informazioni e conoscere i dipendenti, perché persone e processi locali vanno gestiti con una leadership di vicinanza ed è giusto che sia così. È stato fondamentale per me e penso sia importante approfondire,soprattutto all`inizio della propria carriera, le competenze tecniche, sviluppare Hard Skills, ma a un certo punto dedicarsi alle competenze piú soft perché aiutano ad anticipare o a non far venire ad esistere determinate situazioni e problemi, frutto piuttosto di un eccesso di rigiditá, formalismi o di approccio hard. Man mano diventa un ruolo sempre piú manageriale, puoi gestire un team e dare un contributo alla visione strategica aziendale. É giusto se ci arrivi attraverso un percorso e dá tante soddisfazioni”.

Sono curiosa di sapere quali trova siano le skills più importanti per un HR, su quali ha dovuto maggiormente lavorare e su quali ritiene di aver avuto un vantaggio perché le riconosce come innate.
“Sono sempre stato molto curioso, in tutti i contesti, e bisogna esserlo. Penso sia importante e porti valore aggiunto in azienda la tua fame di approfondimento, l’imparare il liguaggio o il lavoro del tuo interlocutore, la voglia di capire le cose e padroneggiarle. Oggi non serve sapere di tutto, ma sapere quanto più possibile aiuta ad essere un ottimo professionista e ad avere coscienza degli elementi su cui puoi incidere”.
Qualcosa su cui ha dovuto lavorare ma di fondamentale importanza è la sua capacità di analisi e di corretta interrogazione di Database, oggi strumenti “parlanti” complementari al suo lavoro, sempre utili nel confronto con altre funzioni (es.Finance, EHS, pianificazione), ma anche nell’individuare potenziali ottimizzazioni nell’organizzazione e gestione del personale.
“Se hai buone doti analitiche, sai che dati estrarre e come interpretarli, e nel saper controllare un indice di utilizzo di manodopera puoi renderti conto se sia il caso di assumere oppure no, se sono presenti problemi di assenteismo o presenzialismo, e da lì continuare ad approfondire”.
Terminiamo l’intervista con una riflessione sugli scenari futuri, e le sue osservazioni portano l’impronta della sua testimonianza: fare focus sulle competenze e abbracciare ilcambiamento.
“A lungo termine i nostri figli ci chiederanno cosa è un ufficio, nel medio termine saremo bombardati da una competizione del costo del lavoro come mai prima d’ora per via di un sempre crescente remote working. Sarà necessario capire che la competizione non è locale ma globale, e bisogna investire sulle proprie skills, diventare dei professionisti prima che persone con dei ruoli in azienda. Nel brevissimo termine? Le aziende si sono trovate ad affrontare qualcosa in un momento emergenziale: alcuni, quelli che guardano oltre il proprio naso, stanno già pensando che non si possa piú tornare indietro. Nel caso dello Smart Working,se prima si diceva non si potesse lavorare da casa perché ne avrebbe risentito la produttività, l’esperienza “forzata” conseguenza della pandemia ci ha dimostrato che non è cosí. Come fai oggi a dire che vuoi tutti di nuovo in ufficio? Come in ogni cosa, ci saranno aziende piccole e non trainanti che torneranno indietro, quelle più grosse e coraggiose saranno pioniere del cambiamento. Fare da pioniere significa fare l’aprifila per gli altri, essere il primo ad andare avanti e goderne dei benefici, ma anche essere il primo a tornare indietro se hai fatto un errore ed imparare da esso. Si polarizzeranno le aziende in queste categorie: chi torna indietro e chi ha capito che alcuni cambiamenti sono irreversibili”.
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